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mercoledì 25 febbraio 2009

Alle tue tende, Israele

Nella Parashà di questa settimana ci occupiamo della costruzione del Santuario.

Come spesso abbiamo ricordato il Tempio non ha senso se lo si scollega dal resto della struttura nazionale d'Israele basata sul osservanza della Torà e sul funzionamento di uno stato indipendente sotto la guida di un discendente di David.

Un Midrash, citato anche da Rashì su Osea III,5, riporta un insegnamento a nome di Rabbì Shimon bar Yochai secondo il quale il popolo ebraico ha commesso tre grandi colpe all'epoca di Rechavam: l'aver ripudiato 

  • il Regno del Cielo,
  • il Regno della Casa di David
  •  il Santuario.
I tre pilastri appunto, sui quali si basa la nazione ebraica. 

Ciò che sorprende è che quando il Midrash cita dei versi per sostenere la sua tesi, utilizza il verso '..alle tue tende Israele...' come fonte per il ripudio del Regno del Cielo e dunque la caduta nell'idolatria. Il Midrash fa ciò anagrammando la parola oalecha (tue tende) e leggendola eloecha, tue divinità. 

Rav Dessler in Mictav MeEliau (IV,281) spiega che ciò significa che occuparsi solo dei propri affari e delle proprie necessità, quando è invece il momento di unirsi alla collettività d'Israele è paragonato dai Saggi all'idolatria.

Nell'epoca dell'individualismo vale allora la pena ricordare che la Torà è stata data alla collettività d'Israele e non a singoli individui: nemmeno grandi quanto Moshè.  E' proprio in momenti come questo che bisogna riscoprire la forza e la santità della nostra vita comunitaria. 

Se veramente vogliamo che Iddio risieda in mezzo a noi, come leggiamo nella nostra Parashà, deve esserci un noi.  Capiamo allora perché il Santuario è chiamato Ohel Moed. La tenda dell'incontro. La presenza di D. si manifesta dove gli individui si incontrarono in santità e divengono un unico manipolo - agudà achat - nel fare il Volere Divino. 


domenica 22 febbraio 2009

I tredici materiali delle nostre preghiere

"E parlò il Signore a Moshè dicendo: ‘Parla ai figli d’Israele e prendano per Me un offerta; da ogni uomo che ne abbia la volontà prenderete la mia offerta.’" (Esodo XXV, 1-2)

I primi versi della parashà di questa settimana elencano le tredici tipologie di offerte richieste dal Signore per la costruzione del Mishkan, il Santuario. 

Secondo lo Sfat Emet queste tredici offerte corrispondono alle tredici benedizioni centrali della amidà, quelle nelle quali chiediamo al Signore le nostre necessità. Queste tredici benedizioni definiscono cos'è che l'uomo dovrebbe volere: saggezza, salute, perdono e via dicendo. Il compito dell'uomo è allora quello di ricongiungere le proprie necessità con la Volontà Divina. Recitare la amidà è riconoscere ed accettare quei parametri che devono definire la vita di un ebreo. 

In questa stupenda analogia le benedizioni centrali della amidà divengono i materiali con i quali costruiamo il nostro Santuario interiore. 

A mio modesto avviso la profondità de parallelo che traccia lo Sfat Emet è particolarmente apprezzabile se si pensa allo Shabbat. Nella amidà dello Shabbat non compaiono le tredici richieste, ma solo una benedizione centrata sulla sacralità dello Shabbat stesso. E così anche di Shabbat non si costruisce il Santuario. 

Lo Shabbat, Santuario del Tempo respinge la costruzione del Santuario dello Spazio. 

Di Shabbat non abbiamo necessità alcuna ed il nostro culto si basa sul puro e semplice essere, in quello che è chiamato un sessantesimo di mondo futuro.




venerdì 20 febbraio 2009

Adar, il mese della purità sessuale



Questo Shabbat annunciamo il mese di Adar. E' scritto nel Talmud Bavlì (Taanit 29a) che:

"...da quando entra Adar, si aumenta nella gioia.."

Lo Sfat Emet, il Rebbe di Gur, si chiede come mai il Talmud utilizzi la parola entrare: avrebbe potuto dire da quando arriva Adar o da quando viene Adar. Spiega il Maestro di Gur che bisogna intendere, da quando entra nel corpo dell'uomo. Da quando entra in noi Adar. Le mizvot vanno vissute, non basta che il calendario indichi che è Rosh Chodesh Adar: il nostro corpo e la nostra anima devono vivere l'ingresso in esse della santità del mese.

Secondo la Tradizione le 365 mizvot lo taasè,  le mizvot negative, corrispondono sia ai giorni del calendario solare che ai nervi del corpo umano (laddove le mizvot positive corrispondono alle membra del corpo).

Lo Zohar lega il giorno del 9 di Av al nervo sciatico ed al relativo divieto di cibarsene. Allo stesso modo, dice lo Sfat Emet, ogni giorno dell'anno corrisponde ad un nervo ed ad un divieto. Il Mese di Adar corrisponde allora ai nervi del Brit che rappresentano la sessualità ad ai precetti ed essa legati ed in primis la purità familiare. Ad essi si riferisce la gioia del mese entrante giacché più di ogni altro precetto sono legati al concetto stesso di gioia. Basti pensare che la definizione stessa di gioia è inserita nella benedizione del pasto degli sposi 'che la gioia è nella Sua residenza'. 

Il Mese di Adar e la festa di Purim sono come noto la summa del confronto di Israele con l'esilio e le genti. Diventano il prototipo stesso della sopravvivenza di Israele alla persecuzione fisica e spirituale. Uno dei terreni di scontro più duri, ancora oggi, è quello della cultura sessuale. La lettura della Meghillà che danno i Maesti nel Talmud e nel Midrash è centrata proprio sul conflitto culturale relativo alla sessualità tra Israele e le genti. 

La storia inizia da una festa nella quale la violenza sessuale, psicologica e fisica, di Assuero su Vashtì, scardina la coppia regale e crea le condizioni per tutto quanto accade poi. Vashtì stessa che viene punita per aver scientemente colpito la pudicizia delle ragazze ebree. L'Harem di Assuero che è il centro della vicenda. Concubine che vanno e che vengono, eunuchi, feste di dubbia moralità e via dicendo. Per non parlare della convivenza di Ester, moglie di Morechai, con Assuero. Tutta la festa di Purim ruota attorno a ciò.

Sono passati migliaia di anni ma siamo ancora lì. La battaglia spirituale dell'ebraismo per la sacralizzazione della sessualità nella gioia del rapporto coniugale in purità è quando più di distante c'è dalla cultura della promiscuità ancora oggi imperante. 

E' allora quanto mai importante, proprio in questo periodo nel quale sempre più chiari sono i limiti dei falsi modelli che ci vengono proposti, tornare alla sorgente della purità. 

E vero. Sono cose delle quali in genere non si parla. La stessa pudicizia che strenuamente difendiamo vorrebbe che queste cose restassero quanto più possibile nel santo dei santi dell'intimità coniugale. Ma c'è un principio per il quale 'è il momento di agire per il Signore, hanno trasgredito la Tua Torà'. Ci sono dei momenti nei quali si deve scegliere il male minore. Ed in questo momento il male minore è chiaramente parlare di sessualità secondo la Torà. 

Soprattuto con i ragazzi e gli adolescenti. Sono loro i più esposti a modelli estranei attraverso un bombardamento mediatico che rischia di ridurre al silenzio quei valori che forse una volta era più facile trasmettere nella quiete domestica. 

Purim con la sua gioia può essere l'occasione per riappropriarci di un modello sessuale basato sulla purezza, il rispetto, la pudicizia e la sacralità. 



mercoledì 18 febbraio 2009

Le Tavole dei Cuori

וַיֹּאמֶר יְהוָה אֶל-מֹשֶׁה, עֲלֵה אֵלַי הָהָרָה--וֶהְיֵה-שָׁם; וְאֶתְּנָה לְךָ אֶת-לֻחֹת הָאֶבֶן, וְהַתּוֹרָה וְהַמִּצְוָה, אֲשֶׁר כָּתַבְתִּי, לְהוֹרֹתָם
" E disse il Signore a Moshè: 'Sali da me sul monte e sii là. E ti darò [a] le Tavole di Pietra, [b] e la Torà, [c] e la Mizvà, [d] che ho scritto [e] per insegnare loro." (Esodo XXIV,12)

Rabbì Meir Simchà HaCoen di Dvinsk, il Meshech Chochmà, propone un interessante riflessione su questo importante verso che racchiude l'intero dono della Torà - scritta e orale - criteri e dettagli. 

Già il Rashbam ha evidenziato con il termine 'che ho scritto' non può riferirsi all'insieme di quanto ricevuto da Moshè ma solo alle Tavole di Pietra che in quel momento erano l'unica cosa scritta.  Come mai allora la struttura del verso lascia intendere che la scrittura si riferisca ad ognuno degli elementi riportati?

Per rispondere a questa domanda il Meshech Chochmà chiama in causa un famosissimo passo Talmudico (TB Eruvin 100b) nel quale si dice che se non fosse stata data la Torà ad Israele avremmo potuto imparare la pudicizia dal gatto, la proibizione del furto dalla formica, la proibizione dei rapporti proibiti dalla colomba etc...

C'è dunque una scrittura che precede il Sinai. 'che ho scritto - nel libro della natura che ho creato'. Il creato tutto è opera del Signore tanto quanto la Torà. Di più, il creato è secondo il Midrash il risultato del guardare di D. nella Torà. Dunque creato e Torà sono legati inestricabilmente. La Torà è scritta nella natura prima ancora di essere data.  (vale forse la pena ricordare che solo negli ultimi anni la scienza ha scoperto che la vita nei suoi dettagli è scritta nel DNA). Ciò non è però un semplice dato da contemplare: ha delle ripercussioni nella nostra vita spirituale. 

Spiega allora il Maestro di Dvinsk che in questo senso si deve leggere quanto detto da Resh Lakish all'inizio di Berachot (TB Berachot 5a):

"Che significa quanto è scritto E ti darò etc. ?

 [a] le Tavole di Pietra - sono le dieci parlate
 [b] e la Torà - è la Torà scritta (il Pentateuco)
[c] e la Mizvà - è la Mishnà
[d] che ho scritto - sono i Profeti e gli Agiografi
[e] per insegnare loro - è la Ghemarà.

ciò insegna che sono tutti stati dati a Moshè sul Sinai."
Il Meshech Chochmà fonde questo insegnamento con un principio che si impara in TB Meghillà 19b per il quale Iddio ha mostrato a Moshè anche tutto quanto i Saggi avrebbero in futuro innovato giacché la Ghemarà,  la cui definizione stessa è 'tutto quanto uno studente esperto innoverà in futuro, è già stata data a Moshè sul Sinai.  

"e ciò si riferisce a quanto ha scritto HaShem nelle anime della collettività d'Israele, che ognuno ha ricevuto la sua parte sul Sinai e ciò è scritto sulla tavola del loro cuore, inciso nella sorgente della loro anima. " (Meshech Chochmà in loco)
Dunque l'aspetto fondamentale della rivelazione sinaitica non è tanto la scrittura delle tavole di pietra, quanto quella delle tavole dei nostri cuori che sono stati incisi della parte di Torà relativa ad ognuno di noi. Ciò che ognuno di noi capirà, innoverà ed approfondirà  attraverso il suo studio è già stato dato sul Sinai. 

Rabbì Meir Simchà HaChoen è conscio che questo punto rischia di mettere in crisi il concetto di libero arbitrio: se la mia parte di Torà è scritta già, che senso ha il mio libero arbitrio.

Egli risponde spiegando, sulla scia del Rambam (Hilchot Teshuvà cap 5), un insegnamento a lui molto caro e che torna ripetutamente nel suo commento alla Torà.  

Il fatto che Iddio sappia non impedisce il libero arbitrio. Il sapere Divino non è aggettivo come quello umano ma piuttosto sostantivo. Iddio è fuori dal tempo. Non c'è prima o dopo.  D. conosce e basta. La rivelazione del sapere Divino all'uomo ha delle ripercussioni sul libero arbitrio. Non l'essenza del sapere.

Nello schema di Resh Lakish "che ho scritto - sono i Profeti e gli Agiografi" . Ebbene nel trattato di Nedarim (22b) è scritto che se Israele non avesse peccato, non sarebbero stati dati loro altri libri oltre alla Torà ed al libro di Jeoshua. Dunque Profeti ed Agiografi non era scrivibili prima che Israele peccassero. Solo il Signore che sapeva che avrebbero peccato e la cui conoscenza non interferisce con il libero arbitrio, poteva scriverli (ma non rivelarli).  Per questo dice il Testo: che ho scritto.


La Torà è dunque scritta nei cuori d'Israele e forse questo spiega perché quantunque secondo il Talmud le Tavole di Pietra fossero cubiche, da secoli vengono rappresentate con la classica forma tondeggiante - a forma di cuore. Per ricordarci che prima che ancora nella pietra, la Torà è incisa nei nostri cuori. 

Shabbat Shekalim

Questo Shabbat, lo Shabbat che precede il Rosh Chodesh di Adar, è chiamato Shabbat Shekalim. 

Iniziamo un percorso di Shabbatot "particolari" che ci condurranno prima a Purim e poi alla festa della redenzione - Pesach. Segnaleremo questi Sabati particolari con la lettura di un brano inerente al concetto che si sottolinea in ciascun Sabato, con una Haftarà speciale ed in alcuni riti, tra cui quello italiano, con pjutim - composizioni poetiche. 

I nostri Maestri hanno preparato per noi un percorso di crescita spirituale che è speculare al percorso che facciamo nel corso delle feste di Tishrì. Iniziamo un mese prima - come per Rosh Chodesh Elul - preparandoci. Il concetto chiave di questo periodo è la avodà, il culto e la gioia e l'amore che lo debbono accompagnare. 

Cominciamo allora con gli Shekalim: i sicli con i quali ogni anno vengono acquistate le offerte pubbliche per il Santuario. Il Sefer HaChinuch codifica come precetto positivo 105 per ogni maschio ebreo adulto, il partecipare annualmente nella misura di mezzo siclo a questa raccolta. [Il brano che descrive la prima raccolta dei mezzi sicli - Esodo XXX,11 è appunto il brano che leggiamo questo Shabbat] 

I Saggi capiscono da uno dei versi che descrivono il Musaf di Rosh Chodesh (Numeri XXVIII,14) che la 'cassa' dalla quale si acquistano le offerte pubbliche vada rinnovata annualmente. Visto che l'anno, per quanto concerne le feste ed il Santuario comincia da Nissan, hanno stabilito che questa raccolta vada fatta ad Adar. E per questo hanno stabilito  che il Sabato che precede il Capomese di Adar venga dedicato a ricordare il precetto.

La mizvà del mezzo shekel è il primo concetto che dobbiamo imparare nell'avvicinarci al culto. Ognuno ha la sua parte nel culto pubblico e questa parte è uguale per tutti - dal Re d'Israele fino alla più umile delle persone. Questa partecipazione è per definizione parziale (mezzo siclo) ma al contempo deve essere tangibile.  

E' nelle azioni dei singoli che si completano nel  culto del pubblico che un insieme di individui diviene un popolo di sacerdoti al servizio del Signore. 

martedì 17 febbraio 2009

La mia anima è uscita nel suo parlare

Abbiamo letto lo scorso Shabbat la parashà di Itrò, che contiene la rivelazione sinaitica e la promulgazione delle Haseret HaDiberot - Le dieci parlate. 

Nel Talmud  leggiamo: 

"Ed ha detto Rabbì Jeoshua ben Levì: ‘Ogni parlata che usciva dal Santo Benedetto Egli Sia, usciva la loro anima di Israele, come è detto ‘La mia anima è uscita nel suo parlare’ (Cantico dei Cantici II,6). Ed essendo uscita la loro anima nella prima parlata, come hanno ricevuto la seconda parlata? [Egli] ha fatto scendere la rugiada con la quale in futuro farà risorgere i morti e li ha riportati in vita.’"
 (TB Shabbat 88b)

Che senso ha questa uscita dell'anima?

Esistono tredici regole ermeneutiche in base alle quali si interpreta la Torà secondo Rabbì Jshmael. Una di queste regole vuole che
 'ogni elemento che era parte dell'insieme, ed è uscito dall'insieme per insegnare, non è uscito per insegnare solo relativamente a se stesso, ma è uscito per insegnare circa l'intero insieme.'

Questa regola è utilizzata dai Maestri della Mishnà e del Talmud in presenza di una specifica tradizione per estendere ad un insieme regole altrimenti applicabili solo ad un elemento di un insieme. 

Lo Sfat Emet però la utilizza in senso lato per descrivere quanto è accaduto con le nostre anime sul Sinai. Le anime si sono separate dal corpo per raggiungere un livello spirituale altrimenti inimmaginabile per l'uomo. Questo livello però non può e non deve essere limitato all'anima sola. Giacché l'anima (elemento) è uscita dal corpo (insieme) per insegnare qualcosa relativamente al copro stesso.

L'esperienza Sinaitica non è un estasi spirituale ma piuttosto un percorso di crescita nel quale l'anima esce per poi rientrare più forte ed innalzare il corpo e la materia tutta verso il Creatore.