Pagine

mercoledì 5 gennaio 2011

Il Faraone e la conversione dei minori

Parashat Bo 5771



E chiamo Moshè ed Aron, di notte, e disse: Alzatevi ed uscite di mezzo al mio popolo, anche voi, anche i figli dIsraele ed andate a servire il Signore come avete parlato’” (Esodo XII, 31)

Leggendo la nostra Parashà, che ci presenta il culmine delle dieci piaghe e la liberazione dall’Egitto, spesso dimentichiamo che la richiesta di Moshé, apparentemente, non è quella di liberare il popolo. Moshé ed Aron si presentano dal Faraone chiedendo tre giorni di culto nei quali il popolo potesse allontanarsi e presentare offerte al Signore senza timore di offendere gli egiziani.

Il Faraone, è noto, rifiuta. Tutte le piaghe, tutti gli eventi di queste parashot, pur contenendo la radice del concetto stesso di libertà e divenendo sorgente di ogni possibile discussione su di essa, vertono su tre giorni di festa.

Ibn Ezrà commenta il come avete parlato, del nostro verso, ad intendere i tre giorni. Ossia dopo la piaga dei primogeniti, il Faraone acconsente a dare al popolo tre giorni di riposo. Il Faraone, va detto, teme non a torto che i tre giorni siano un pretesto per fuggire. Nel panico della morte dei primogeniti egli rinuncia però alle due garanzie che aveva chiesto in passato: il sequestro dei beni (il bestiame) ed il divieto ai bambini di partecipare. Rashì rende infatti l’apparente ripetizione anche voi, anche i figli dIsraele ad includere i bambini.
Vorrei approfondire proprio la questione dei bambini.

La trattativa sulla partecipazione dei bambini avviene all’inizio della nostra Parashà. Moshé annuncia la piaga delle cavallette. La corte è stanca e comincia a fare pressioni sul Faraone perché acconsenta. Il Faraone passa allora dal rifiuto totale alla verifica delle condizioni.

E fu riportato e Moshè e Aron dal Faraone e disse loro: Andate e servite il Signore vostro D-o. Chi và? E disse Moshè:Con i nostri giovani e con i nostri anziani andremo, con i nostri figli e con le nostre figlie, con il nostro gregge e con le nostre mandrie andremo poiché è per noi Festa per il Signore.” ( Esodo X, 8-9)

Il Faraone non è d’accordo. “...guardate che il male è davanti alle vostre facce..” e propone vadano solo gli adulti maschi perché è questo che state chiedendo. Non è chiaro cosa intenda il Faraone. Rashì, prima di proporre un bellissimo Midrash che si allontana però dal senso immediato del Testo, afferma che il testo va inteso secondo la traduzione aramaica, il targum

Il Ramban dice che Rashì avrebbe fatto cosa gradita spiegarci a quale traduzione si riferisca perché sull’interpretazione di questo verso esistono diverse letture del targum. Il Ramban, e così anche molti altri Rishonim tra cui Ibn Ezrà, Chizkuni e Rabbenu Bechajè, sostengono che il Faraone starebbe dicendo: se insistete a chiedere che i bambini vengano con voi, le vostre cattive intenzioni sono ‘davanti alle vostre facce, sono rivelate.

Mi avete chiesto di fare tre giorni di offerte. Chi è che fa le offerte o che comunque partecipa al culto? Gli adulti. Gli uomini, e neanche tutti. Se mi chiedete di portare i bambini è chiaro che non avete alcuna intenzione di tornare e che è tutto un pretesto. Ibn Ezrà dice anche che in effetti Moshé è sempre rimasto vago su questo punto. I nostri Saggi hanno ampiamente discusso come mai la richiesta sia solo di tre giorni se il Signore intendeva liberarli del tutto, e non è questa l’occasione per dilungarci su ciò.

Rav Josef Dov Ber Soloveitchik, il Bet Hallevì, propone un interessante lettura della tesi del Faraone. Secondo il Bet Hallevì iltargum del nostro verso va inteso come: ‘vi andrà male’. Non vi conviene accettare il servizio del Signore. Il Faraone direbbe loro che se tutte le piaghe hanno colpito l’Egitto per il rifiuto ad adempiere ad un comandamento Divino, figuriamoci cosa sarebbe successo con un servizio a tempo pieno. Il Faraone affronta allora una questione teologica: questo culto non è sostenibile. “voi soffrirete alla fine perché non adempirete a tutti i suoi comandamenti, perché non cè uomo sulla Terra che non pecchi(Koelet VII,20)[Ed in un certo senso questo è anche quanto dice il Midrash citato da Rashì].

E qui il Faraone apre la polemica teologica ed halachica sulla questione della conversione dei bambini con tanto di citazioni dal Talmud. Il principio, stabilito nel trattato di Ketubot a pagina 11 a nome di Rav Hunnà, è che ‘si converte un minore per decisione del Tribunale perché è un beneficio per luiEd il principio generale è che è permesso beneficiare una persona senza il suo consenso ma non danneggiarla a sua insaputa. La Ghemarà in loco lega il criterio al caso in cui il genitore si stia anche convertendo, caso in cui chiaramente il bambino ha un beneficio nel seguire il genitore. Il punto è, dice Faraone, che è impossibile servire propriamente il Signore. È impossibile non essere puniti. Dunque abbracciare l’ebraismo è sempre un danno. Ora, si può scegliere per il bambino qualora ci siano probabilità di beneficio e probabilità di danno: i genitori e soprattutto il tribunale valutano le probabilità. Non si può scegliere per il bambino quando il danno è certo. In quest’ultimo caso l’adulto ha il diritto di auto-danneggiarsi, ma non ha il diritto di danneggiare un minore. Quindi, non potete portare i bambini.

È straordinario questo commento Bet Hallevì che dipinge quello stesso Faraone che per il Midrash si bagna nel sangue dei bambini ebrei sgozzati, divenire il paladino dei diritti dell’infanzia, sostenendo che non è giusto convertire i bambini. Da notare anche che è proprio di conversione che si parla perché gherim, stranieri ma anche convertiti, siamo stati in Egitto.
È paradossale, ma proprio il Faraone sarebbe il primo a costringerci ad una riflessione sulla liceità del ghiur ktanim. Si può convertire un minore, a discrezione del Tribunale Rabbinico, se è un beneficio. O almeno se ci sono buone probabilità che osserverà Torà e Mizvot. Se si ha la certezza che così non sarà, allora si sta danneggiando il bambino e non si ha il diritto di convertirlo. Se si ha la certezza del danno non si esce dall’Egitto. La polemica del Faraone, va sottolineato, è valida anche nei confronti dell’adulto, di tutto Israele. L’adulto però è capace di intendere e volere ed ha il diritto di farsi un danno. Il bambino no.

La risposta di Moshé al Faraone la possiamo trovare a mio modesto avviso in un bellissimo commento dello Sfat Emet al nostro verso fonte.

La fonte talmudica per eccellenza sul ruolo dei bambini nell’ebraismo, l’abbiamo visto più volte, è nel trattato di Chagghigà a pagina 3a. Si parla del precetto positivo dell’Hakel, la radunanza che va fatta una volta ogni sette anni nel Santuario nella quale il re d’Israele legge dal libro di Devarim al popolo. La Torà specifica che debbono esserci tutti: uomini, donne e bambini. Il Talmud obietta che è già difficile capire come mai le donne siano incluse nel precetto (si tratta di un precetto positivo legato al tempo dal quale in genere le donne sono esentate) ma certamente non si capisce come si possano comandare i bambini che sono esenti da tutte le mizvot. Il Talmud riporta a nome di Rabbì Elazar ben Azarià che i bambini vengono “per dare merito a chi li porta.
Lo Sfat Emet protesta che non si capisce bene che merito sia: se sono esenti non c’è mizvà e dunque non c’è merito. E risponde: “la sua spiegazione è che Israele ha la forza di fare unazione leshem Shamaim (con intenzione sacra) e questa diviene una mizvà e questo è il concetto di Torà Orale....e questo è quello che ha detto Moshè: Con i nostri giovani....poiché è per noi Festa per il Signore. E spiega lo Sfat Emet che questo è per noi va capito come il verso che dice asher tikreù otam, (otam (esse) che si scrive come attem (voi)) dal quale si capisce che le feste vanno stabilite dal Tribunale.

Prima ancora che il Faraone obietti Moshé ha abbracciato nella sua affermazione dell’inclusione dei bambini come degli anziani nel servizio Divino, il concetto di Torà Orale. La festa è per tutti noi perché è il nostro tribunale che la stabilisce sulla base della Torà Orale. Quella stessa Torà Orale che trasforma il buon proposito educativo dei genitori in mizvà.

ed ecco che i bambini sono inclusi nei loro padri, e per mezzo del fatto che il padre e la madre fanno con lui una mizvà il figlio si raffina e gli si aggiunge santità anche se non è cosciente, come il fatto che il Santo Benedetto Egli Sia associa un buon proposito allazione. Così la mancanza di azione da parte del figlio è dovuta ad un legittimo impedimento (ossia allessere minore) e la volontà di coloro che lo portano è come lazione e questo è il concetto del portare i bambini ed il concetto della Torà Orale dal punto di vista della saggezza di colui che sa prevedere cosa accadrà: in modo che il bambino sia abituato in santità e questa è laggiunta, lo spronamento e e la preparazione della mizvà... (Sfat Emet in loco)

Moshé sta spiegando al Faraone che non è affatto vero che l’ebraismo sia insostenibile. Che la Torà sia impossibile e necessariamente un danno. Non solo. La Torà non è un imposizione Divina né un sistema basato sulla punizione. È piuttosto un dialogo aperto tra l’uomo con i suoi limiti e D. nella Sua onnipotenza. La Torà Orale rappresenta la nostra partecipazione alla Creazione stessa. Attraverso la Torà Orale noi diveniamo soci del Signore. È un rapporto, un dialogo, che il Faraone nella sua tirannica monarchia assoluta non può neppure concepire. Il Faraone vede solo la piaga, la punizione, non riesce a vedere la dirompente sacralità che c’è nell’educazione di un bambino.

Lo Sfat Emet, sempre nella nostra Parashà spiega che la parte fondamentale della mizvà è che questa lascia una segno nell’anima umana. Per quanto la mizvà vada eseguita come comandamento Divino senza alcun ulteriore motivo, ciò nonostante è la preparazione alla mizvà, il desiderio della mizvà, che incidono profondamente sull’anima.

Lo stesso avviene con i bambini. È l’educazione alle mizvot prima ancora che questi siano tenuti alla loro osservanza che lascia quella traccia che permette poi, da adulti, di fare la mizvà in completezza.

All’ipocrita preoccupazione del Faraone della tutela dell’infanzia Moshé risponde dicendo che noi abbiamo la Torà Orale. Che noi siamo depositari della Torà. Che la Torà è la nostra stessa vita e che i bambini vanno educati. E che è proprio la Torà Orale, nelle mani del Tribunale, che stabilisce quand’è che c’è probabilità di beneficio e quando la certezza del danno. Non ci deve allora stupire se proprio l’educazione è il solo criterio che il Tribunale prende in considerazione per convertire un minore.

Ad un Faraone che vuole tenerci in Egitto dicendo che non è possibile convertire i minori noi diciamo che per quanto difficile è possibile se li si educa. Se si sta insieme. Se si è collettività. L’educazione del minore da convertire diviene prototipo dell’educazione dei minori in generale: vero spartiacque tra l’Egitto e la redenzione. Non è certo un caso che il Seder di Pesach ruoti proprio attorno ai bambini.

Si può prendere un bambino senza alcun obbligo e trasformarlo in un partner nella mizvà, ma ci vogliono un padre ed una madre che lo educhino in questo senso.

Per inciso secondo il Midrash citato da Rashì il Faraone prevede sangue nel deserto. Il sangue dello sterminio come punizione per il Vitello d’Oro. Il Signore lo trasforma in sangue della milà, che farà Jeoshua in Erez Israel. Di nuovo, a chi vede solo la punizione si risponde con una mizvà, la milà, che i genitori fanno su un bambino che non è in grado di scegliere da solo.

Tutto ciò non è un elemento accessorio all’ebraismo. È una conditio sine qua non del nostro essere ebrei.

Infatti, conclude lo Sfat Emet, il termine benè Israel, figli dIsraele racchiude l’idea di bonè Israel, coloro che costruiscono Israele.Il concetto stesso d’Israele noi lo costruiamo continuamente educando i bambini attraverso la Torà Orale. I figli, i bambini sono i mattoni (lebenim) dell’idea stessa di Israele.

Con buona pace del Faraone e soci.

La verga e il serpente

Parashat Vaerà 5771


E disse il Signore a Moshè ed Aron dicendo: Se il Faraone vi parlerà dicendo Date un prodigio, e dirai ad Aron prendi la tua verga e gettala dinanzi al Faraone; diverrà un serpente.’” (Esodo VII, 8-9)

La maggior parte della Parashà di questa settimana è occupata dal racconto delle prime sette piaghe con le quali il Signore ha colpito l’Egitto. Le ultime tre saranno narrate nella prossima Parashà di Bo. Prima però che le piaghe inizino però avviene un ulteriore incontro tra Moshè ed Aron ed il Faraone. Nel corso di questo incontro Aron esegue il prodigio della verga che si tramuta in serpente. Vale la pena ricapitolare quanto accaduto fin qui, almeno secondo il pshat, il senso immediato del Testo.

Quando Moshé riceve la rivelazione del roveto ardente ed avanza dubbi sul proprio mandato riceve dal Signore due prodigi: latzaraat della mano e la verga che diviene serpente.  Egli viene istruito di esercitarsi o comunque di riflettere su questi prodigi nel corso del viaggio verso l’Egitto. Questi stessi prodigi furono eseguiti nell’incontro con il popolo. Ed il popolo ebbe fiducia.

Poi Moshè ed Aron incontrano il Faraone per la prima volta (siamo ancora nella Parashà di Shemot) e non eseguono alcun prodigio. Il Faraone reagisce malamente alla richiesta di Moshé e decreta che non venga più fornita paglia. E qui si chiude la Parashà di Shemot. La nostra Parashà si apre con l’ordine Divino di andare nuovamente dal Faraone per un secondo incontro. Moshè è riluttante, la fiducia del popolo comincia a vacillare ma in ogni modo Moshé ed Aron si presentano per la seconda volta dal Faraone ed è in questa occasione che come preannunciato dal Signore il Faraone chiede una dimostrazione prodigiosa ed Aron esegue il miracolo della verga (e non quello della mano).

Rashì in loco spiega che il ruolo di questo prodigio è quello di testimoniare la potenza del mandante, ossia del Signore.  Sforno allarga un poco il discorso e spiega che il popolo non aveva dubbio alcuno sul mandante, ne aveva piuttosto sull’inviato. Dunque i prodigi fatti al popolo servono a testimoniare l’autenticità della missione di Moshé, laddove il prodigio verso il Faraone serve a chiarire la potenza del Signore. Forse è per questo che il prodigio della mano di Moshé non viene eseguito dinanzi al Faraone, in quanto legato al suo ruolo di profeta, che in questo caso non era in discussione.

Lo Sfat Emet spiega questo verso dicendo che la discesa del popolo d’Israele in Egitto è una preparazione per Erez Israel, secondo quanto detto dal Midrash per il quale Erez Israel è uno dei tre doni Divini che si acquisiscono attraverso la sofferenza. 

Per spiegare questa affermazione, apparentemente sconnessa dal senso del verso, il Rabbi di Gur cita il Midrash. Il Midrash Tanchumà (ma compare anche altrove) commenta il nostro verso con un insegnamento della Mishnà (Berachot 30b) ed un episodio correlato. 

La Mishnà infatti dopo averci detto che non si inizia a pregare se non con uno stato d’animo di serietà ci dice che la preghiera non va interrotta neppure se il re ci saluta o se un serpente si arrotola sul calcagno. E così anche codifica lo Shulchan Aruch (Orach Chajm, 104). Il Midrash racconta in proposito un episodio avvenuto a Rabbì Chaninà ben Dossà che viene morso da un Arod (una specie di serpente, secondo i più il risultato di un incrocio) mentre prega. Non solo Rabbì Chaninà ben Dossà non muore, ma è anzi il serpente a morire. Rabbì Chaninà ben Dossà insegna allora ai suoi discepoli: ‘Guardate figli miei, non è lArod che uccide, è il peccato che uccide.

L’episodio è raccontato con lievi varianti nel Midrash, nel Bavlì e nello Jerushalmi. Nel Bavlì sembra addirittura che Rabbì Chaninà ben Dossà crei volontariamente la situazione per liberarsi di questo serpente che aveva già fatto delle vittime. Questo per inciso apre un enorme discussione sulla liceità di mettersi in condizione di pericolo, che non affronteremo in questa occasione.

Rav Mordechai Elon shlita suggerisce che una delle chiavi di lettura va cercata nel fatto che l’Arod è un incrocio. È una specie prodotta dall’operato improprio dell’uomo che mescola specie diverse, cosa che la Torà proibisce. L’incrocio come l’innesto, ilkilaim, è il simbolo dell’intervento umano che complica la semplicità della Creazione Divina. Del contorto. L’incontro tra l’Arod e Rabbì Chaninà ben Dossà è allora l’incontro-scontro tra il contorto dell’Arod (ed il serpente è anche fisicamente contorto) e la rettitudine del Maestro. Vale la pena di ricordarlo: Rabbì Chaninà ben Dossà è uno degli esempi più forti di rettitudine e dignità in condizioni difficilissime ed in una povertà spaventosa che ha segnato la sua vita. Così allora va anche letto l’insegnamento del Maestro. È il peccato che uccide non il serpente. Secondo l’Or HaChajim haKadosh infatti gli animali possono uccidere solo se è arrivato il momento della morte di una persona. L’uomo invece è dotato di libero arbitrio e può uccidere anche una persona che non sarebbe dovuta morire in quel momento. Rabbì Chaninà ben Dossà vorrebbe allora dire che l’unica cosa di cui ci si deve preoccupare è la propria condotta.

Ricorderemo che il serpente richiama evidentemente l’episodio del peccato dell’albero della conoscenza del bene e del male. Secondo i Maestri il serpente, il Satan e l’istinto del male sono la stessa cosa.

Il Tanchumà si chiede a questo punto come mai la regola del serpente che si attorciglia mentre si prega venga associata dalla Mishnà al caso in cui il re saluti. Che nesso c’è tra il re ed il serpente? Risponde il Midrash a nome di Rabbì Jeoshua ben Pazì che il regno, il potere, ha la stessa voce del serpente ed uccide come il serpente. Ossia ha la capacità di uccidere attraverso la lechishà il sussurro. Il sussurro del serpente, con il suo veleno uccide. Le parole, sopratutto le parole del potere corrotto, uccidono.

Alternativamente il nesso è legato al percorso. Il serpente procede in maniera non lineare. Serpeggiando appunto. Così il regno ‘contorce le vie’. Non è lineare. Fa quello che gli è comodo. Ed allora dice il Midrash (spiegandoci finalmente cosa c’entra tutto ciò con il Faraone):

Così come il serpente è contorto, così il malvagio Faraone è contorto. E quando verrà ad essere contorto, dì ad Aronprendi la tua verga. Che esponga la verga dinanzi a lui, come a dire: da questa verrai punito. (Midrash Tanchumà in loco)

Il miracolo del serpente diviene allora il documento programmatico dell’uscita dall’Egitto. Il Faraone è contorto, il potere è contorto, il suo regno è contorto. Il Faraone è lui stesso il Tanin HaGadol, il Grande rettile, che se ne sta nel suo Nilo. Ebbene dinanzi al modello di un potere corrotto che serpeggia in un paese che si fonda sul dio Nilo che serpeggia nella sua terra, Iddio benedetto spiega al Farone, prima ancora che tutto cominci, il concetto di verga.

La verga di Aron diviene prima serpente, poi torna ad essere verga. E da verga divora i falsi serpenti creati dai ciarlatani di corte. Sforno sostiene che questi avevano solo la forma del serpente ma non la vita. Proseguendo sulla stessa parabola diremmo che il sistema Egitto è ormai divenuto la caricatura di se stesso.  Contorto per abitudine, senza neanche la vitalità dell’istinto del male. 
La verga, simbolo di rettitudine, è l’esatto opposto del Faraone-Serpente e dell’Egitto. È la semplicità. L’essere yashar. Retto. 

Dinanzi al sistema Egitto, Moshé dimostra con i fatti un modello di leadership retto, diretto e soprattutto semplice. Moshé, primo vero re d’Israele è anche l’uomo più modesto che ci sia mai stato sulla terra. 
Lo Sfat Emet spiega allora come l’aria di Erez Israel si respiri anche alla corte d’Egitto. Come si percepisca fin d’allora che è tutto una preparazione ad Erez Israel. Perché se lo scopo della discesa in Egitto è quello di forgiare una nazione che cresca su presupposti diversi, bisogna prima di tutto capire il senso del potere e come questo vada amministrato al servizio di D. È per questo che è così importante che Moshé esegua il prodigio della verga anche da solo mentre torna in Egitto. È lui stesso che deve capire qual’è il modello di leadership che gli viene richiesto. 

Ebbene secondo lo Sfat Emet anche Kenaan è lagato al serpente. Kenaan nipote di Noach viene maledetto con la parola arur, così come il serpente. Kenaan è attorcigliato attorno ad Erez Israel e non permette la rivelazione del ruolo specifico di Erez Israel che è la rivelazione del Regno del Signore. Il regno del male, Egitto o Kenaan che sia (dei quali la Torà ci ammonisce nella Parashà di Acharè Mot di non seguire la condotta) impedisce la rivelazione del Regno del Signore.

Per questo motivo dobbiamo anzi ricordare l’uscita dall’Egitto appena prima di inziare la Amidà, per liberarci dal Serpente prima di inziare a pregare.

Lo Sfat Emet fa notare che la Ghemarà (Berachot 33a) commenta la Mishnà dicendo che sebbene non si interrompa la preghiera per il serpente si interrompe per lo scorpione. Or Israel spiega che il serpente è legato spiritualmente al concetto di calore (Cham - caldo - è il padre di Kenaan), mentre lo scorpione è legato al freddo. Il freddo dello scorpione sarebbe allora la tristezza e la depressione. Quella stessa depressione simboleggiata da Amalek che karechà, ti ha raffreddato. Lo scorpione-freddo-depressione è il male peggiore. Secondo lo Sfat Emet (che cita lo Zohar) Amalek, Lavan e Bilam sono la stessa radice. Ebbene saremmo allora discesi in Egitto come male minore rispetto a Lavan-Amalek. (Un arameo voleva distruggere mio padre, e scese in Egitto...) Perché è un male che non siamo ancora pronti ad affrontare.
Ebbene è interessante notare che esiste una specularità nella conquista di Erez Israel. Infatti tre sono i comandamenti che abbiamo nell’entrare in Israele: nominare un re, costruire il Santuario e distruggere Amalek. Ossia istituire un modello di leadership che sia diverso ed alternativo al sistema serpente, costruire il Santuario nel cui Santissimo assieme alla Torà c’è la verga di Aron fiorita, e cancellare Amalek, quel male peggiore del Faraone stesso. 

Un ulteriore elemento sul quale dovremmo riflettere è il pozzo di Josef. Nel pozzo come è noto non c’è acqua ma secondo i Saggi ci sono serpenti e scorpioni. Lo Zaddik si scontra con tutti i mali, con il caldo del serpente Egitto e Kennan e con il freddo di Amalek ed esce fuori dal pozzo perché è il peccato che uccide, non il serpente né lo scorpione. La definizione del Faraone, la prima cosa che ci viene detta di lui, è che non conosce Josef. Il Faraone è scollegato da un modello di potere che pure ha lasciato una traccia persino in Egitto. Il modello della modestia di Josef.

L’uscita dall’Egitto è il momento fondante del popolo d’Israele. Essa avviene attraverso i prodigi e sopratutto le piaghe. Ma prima delle piaghe, il prodigio della verga ci fornisce una chiave di lettura del tutto particolare per gli eventi che portano alla vera nascita d’Israele. La verga è il contesto. È allora affascinante che il Midrash dica che le iniziali delle piaghe Dezach Adash Beachab erano iscritte sulla verga. 

Quella verga che fiorirà per insegnare che il Regno è del Signore, è lui che incorona ogni re, ed Egli ci invierà presto il Re Messia figlio di David.