Nella Aftarà che abbiamo letto questo Shabbat, il Profeta invita a cercare il Signore quando Egli è vicino, espressione che i Saggi hanno inteso come allusione ai dieci giorni che vanno da Rosh Hashanà al giorno di Kippur.
Lo Sfat Emet, elaborando alcune riflessioni di suo nonno, il Chidushè HaRim, propone un interessante matrice (in base tre) che può aiutarci a capire l'opportunità incredibile che si cela per tutti noi in queste sante giornate.
Secondo lo Sfat Emet gli aseret yemè teshuvà, i dieci giorni di ritorno corrispondono alle dieci maamarot (le dieci espressioni con le quali il Signore ha creato il mondo) ed alle dieci dibberot (le dieci parlate della rivelazione sinaitica). Così anche le dieci maamarot e le dieci dibberot sono legate alle dieci makot , le dieci piaghe con le quali il Signore ha colpito l'Egitto, secondo un insegnamento del Chidushè Harim per il quale le piaghe trasformano le espressioni della creazione nelle parlate della rivelazione sul Sinai.
Lo stesso schema si trova, secondo lo Sfat Emet, nelle tre benedizioni del Musaf di Rosh Hashanà: malkuiot (regalità), zicronot (ricordo) e shofarot (shofar). La radice della regalità Divina è infatti nelle maamarot della creazione. Le piaghe sono invece relative alla specifica esperienza storica e spirituale d'Israele ed al suo rapporto con il Signore. Il ricordo come canale di comunicazione reciproca e quindi di comunione tra D. ed Israele è l'elemento che fa scaturire la redenzione di cui le piaghe sono strumento. Infine il dono della Torà sul Sinai con le dieci dibberot, avviene per mezzo del suono dello shofar che fonde assieme i concetti di malkuiot e zicronot, portandoci ad accettare su di noi il Regno del Signore, sulla base di un rapporto intimo segnato dal ricordo reciproco, basato sulla Torà che è data per mezzo del suono dello Shofar.
Il Maestro di Gur prosegue dicendo che anche la struttura del suono dello shofar segue lo stesso schema. Secondo la Torà la mizvà del giorno di Rosh Hashanà è ascoltare una teruà, preceduta e seguita da una tekià. La tekià è un suono liscio, laddove la teruà è un suono tremolante. Dunque: Tekià, Teruà ,Tekià. Nel corso dei secoli i nostri Maestri sono stati discordi sulla esatta natura della Teruà e per uscire da ogni dubbio hanno introdotto l'uso di due suoni di teruà. Quello che noi chiamiamo teruà e quello che noi chiamiamo shevarim. Conseguentemente noi suoniamo le tre possibili combinazioni, ma resta il fatto che lo schema della Torà è: Tekià, Shevarim-Teruà, Tekià. Suono liscio, suono tremolante (qualunque esso sia), suono liscio.
La regalità di D. che si esprime nella creazione è simile alla prima tekià. E' l'opera perfetta (liscia) della Mano del Creatore. L'esilio con le piaghe ed il conseguente ricordo è il momento di crisi simboleggiato dalla teruà (e da shevarim). Si deve però sapere che attraverso il superamento della crisi si torna allo stato di tekià con il dono della Torà.
Anche l'esperienza dei nostri padri va inserita in questo schema per il Rebbe di Gur: Avraham è legato alla regalità (ed alla prima Tekià, ed alla Creazione) perché è il primo che incorona il Signore come Re sul creato. Il mondo è creato behibaream , acronimo di Avraham. Avraham da senso al creato. Izchak è colui che sperimenta in prima persona la crisi. La sua legatura è oggetto perenne del ricordo che definisce il nostro rapporto con D. ed è proprio questo ricordo che noi invochiamo ripetutamente a Rosh Hashanà. Il suono della Teruà, che caratterizza la giornata è proprio il suono della legatura che prende forma nel corno nel montone offerto in sua vece. Non è certo un caso che la schiavitù d'Egitto viene fatta iniziare dal Midrash con la nascita di Izchak. Infine Jacov, ish tam joshev ohalim, l'integro che risiede nelle Tende della Torà. Jacov è il simbolo stesso della Torà è tam - integro - semplice come una tekià. Jacov è colui la cui discendenza tutta è parte del patto con il Signore. Jacov è la Torà. Ed è proprio attraverso la Torà di Jacov (che è sintesi di Avraham ed Izchak) che la regalità ed il ricordo si fondono nel suono dello Shofar. Il volto di Jacov è scolpito sul trono Divino secondo il Midrash. Jacov è la capacità di risollevarsi dopo la crisi, la tekià che viene dopo la teruà. Ed è forse per questo che quando la Torà ci parla del processo di teshuvà il ricordo di Jacov precede quello degli altri padri: e ricorderò il mio patto con Jacov.
I nostri Mistici hanno lungamente approfondito questi schemi, e mi piace ricordare che il rapporto tra le note dello Shofar ed i patriarchi compare anche nel testo delle kavvanot, le intenzioni, in uso nella Comunità di Roma, con il quale il tokea (colui che suona lo shofar) si prepara prima di suonare.
Il percorso che noi affrontiamo in questi giorni verte proprio su questo schema. L'uomo viene creato integro ma nel corso della sua vita ha dei momenti di crisi di cui la trasgressione è solo la punta dell'iceberg. La frattura interna che ognuno di noi ha è questa teruà. Ebbene si deve sapere che così come questa è preceduta dalla tekià, è anche seguita dalla tekià. La teruà di Rosh Hashanà è lo strumento che abbiamo per tornare allo stato liscio, perfetto. Rosh Hashanà verte sulla possibilità che ognuno di noi ha di cambiare. Di riscattarsi ed al contempo di tornare alla propria radice.
Rav Mordechai Elon shlita, ricorda spesso che shever in ebraico significa tanto frazione quanto frumento. La crisi è il momento in cui le opportunità escono fuori. E' il momento per migliorarci. Rav Kuk zz'l scrive in Orot che quando c'è la guerra nel mondo, si sveglia la forza del Mashiach.
Sempre lo Sfat Emet propone un altra interessante riflessione. Secondo i nostri Maestri a Rosh Hashanà è di fatto cessata la schiavitù in Egitto. Ossia anche se siamo usciti fisicamente a Pesach è dal Rosh Hashanà precedente che abbiamo smesso di lavorare. In questo senso spiega il Rebbe di Gur si deve ricordare quanto dice il Radak per il quale il senso del suono dello Shofar è quello di annunciare la libertà, così come per il giubileo.
In questa stupenda sovrapposizione tra il due momenti dell'anno, Tishrì e Nissan, lo shofar viene ad annunciare la redenzione nazionale ma anche la libertà personale.
A Rosh Hashanà Josef è uscito di prigione. A Rosh Hashanà le nostre madri hanno smesso di essere sterili. Rosh Hashanà è il momento in cui tutto può cambiare.
Secondo la tradizione uno dei motivi dello Shofar è quello di confondere il Satan, l'accusatore. Sentendo lo Shofar questi teme che sia giunta la redenzione che verrà annunciata con il grande Shofar. Lo Shofar riccorda allora al Satan, ma anche a quel pezzo di istinto del male che è in ognuno di noi, che ciò è possibile. Il grande shofar arriverà, il cambiamento ci sarà.
Sta a noi fare del nostro Shofar un grande Shofar e stabilire la alachà secondo Rabbì Eliezer per il quale 'A Nissan sono stati redenti, a Tishrì saranno redenti.'.
Shabbat Shalom e Shanà Tovà