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lunedì 17 maggio 2010

La maternità è della Lettura

Come noto a Shavuot si usa mangiare chalavì, di latte. Questo uso viene spiegato dalla Mishnà Berurà con il fatto che una volta ricevute le regole della Kasherut era molto più semplice preparare un pasto a base di latticini.

Secondo altri (così ho sentito da Rav Mordechai Elon shlita) c’è un remez, una allusione al fatto che nelle tre volte in cui nella Torà compare il divieto di mangiare carne e latte questo è in concomitanza con il precetto di presentare le primizie - relativo dunque a Shavuot. Questa allusione mi ha sempre incuriosito. Non mi è mai stato chiaro perché concentrarsi sul latte che compare nel verso tanto quanto la carne.

Mi sembra che lo si possa spiegare sulla base della discussione che compare alla pagina 4a del trattato di Sanedrhin. La ghemarà cerca di chiarire il concetto di em lamikrà ed em lamasoret. Em - mamma, è generalmente attribuito a ciò che è importante. Mikrà è il modo in cui una parola della Torà si legge, mentre Massoret - tradizione è il modo in cui la si scrive. La domanda è cosa ha la precedenza (nella lingua del Talmud chi detiene ‘la maternità’): il modo in cui si scrive o il modo in cui si legge?

I Maestri della Mishnà concordano che tanto il modo in cui una parola si scrive che il modo in cui si legge, vengono dal Sinai. La domanda è cosa conta di più al fine dell’interpretazione del Testo. Si deve infatti ricordare che a volte una parola non si legge esattamente come è scritta. A volte essa è scritta in forma difettiva. A volte invece c’è una lettera apparentemente superflua e via dicendo. Qual’è l’originale? Chi detiene la ‘maternità’?

La discussione viene in qualche modo sbrogliata - come spesso avviene - dal caso limite. Il caso in cui la scrittura (massoret) si presta a diverse letture (mikrà) di cui solo una valida. Il caso limite in questione è proprio il nostro verso che proibisce carne e latte nel quale la radice ‘chet, lamed, bet’ può essere letta tanto ‘chalav’ - latte - quanto ‘chelev’ - grasso. La tradizione ci dice che si legge chalav, latte con le relative conseguenze halachiche e questo prova che ‘yesh em lamikrà’, che la ‘maternitàè della lettura- ossia che si segue la lettura.

Rabbì Meir Abulafia, lo Yad Ramà, spiega che il motivo per cui la tradizione della scrittura è chiamata ‘em lamassoret’ è per via del fatto che questa è conosciuta da pochi esperti: gli scribi che ricevono la tradizione dai propri maestri. Al contrario la mikrà - la lettura - è retaggio di tutto il pubblico che legge o che ascolta la lettura della Torà.

La parola chalav, latte diviene allora l’archetipo della supremazia della lettura sulla scrittura, della oralità della Torà rispetto al modo in cui viene scritta. Insomma della supremazia della Torà Orale sulla Torà Scritta. Senza la Torà Orale, senza i Maestri, non sapremmo nemmeno come si legge la Torà. Ed allo stesso tempo, la scrittura è per pochi scribi esperti, la lettura è per tutti.

Possiamo allora capire a fondo come Hillel cambiasse la lettura delle lettere a quel gentile che voleva convertirsi senza essere disposto ad accettare la Torà Orale, mentre gli insegnava a leggere. Questi gli chiese: ‘ma come? ieri mi hai detto che era la lettera Alef!? ‘Ieri ti sei fidato, oggi non ti fidi?’ rispose Hillel. Senza Hillel il convertendo non poteva sapere come si pronunciassero le lettere. Senza i Saggi non sapremmo leggere.

Possiamo apprezzare meglio quest’antico uso che nel giorno in cui è stata data la Torà ci invita a tornare al quel chalav che è latte (e non chelev, grasso) solo perché la ‘maternità è della lettura’.

Moadim LeSimchà

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