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giovedì 21 ottobre 2010

Sbucciare l'Universo


Parashat Lech Lechà 5771
Sulla traccia della derashà che ho pronunciato in occasione della nascita di Asher Angelo Di Castro, con l’augurio che cresca nella Torà e nelle Mizvot e che le sorgenti della sua Torà possano dirompere all’esterno.
  
Questa settimana incontriamo la prima mizvà data ad Avraham come ebreo, la milà.
Il Midrash racconta che una volta il re David si stava immergendo nel mikve, quando, resosi conto di essere completamente nudo e senza mizvot fu preso dal terrore. Si calmò solo quando si ricordò di avere su di se la milà. Che cosa vuole dirci il Midrash?

In primo luogo dobbiamo ricordare che l’ebreo è, o dovrebbe essere sempre circondato dalle mizvot. Lo zizzit del tallith e dell’arbà kanfot, i tefillin, la mezuzzà alla porta e così via. Un ebreo ha anche il precetto di scriversi un Sefer Torà. Il re d’Israele deve eseguire questo precetto due volte ed una copia delle due copie deve essere perennemente con il re. Si dice che David ne avesse una micrografata legata al braccio. In questa prospettiva si riesce a capire il vuoto che ci può essere nel momento in cui, seppur per poco tempo, tutto ciò viene a mancare. Il mikve è infatti luogo nel quali ci si deve spogliare di ogni cosa e di ogni interposizione per immergersi e purificarsi. Non si può portare un Sefer o dei Tefillin nel mikve e David si sente nudo non solo fisicamente ma anche interiormente.

Il Midrash ci sta qui ricordando come i segni esteriori, le mizvot nella loro fisicità, abbiano un impatto sullo spirito. Nelle parole del Sefer HaChinuch: ‘I cuori vanno appresso alle azioni’. Persino per uno zadik come David. Al contempo, in maniera affascinante, ci invita a riflettere su come esista una mizvà dalla quale non ci si può spogliare. La milà. La milà come segno nella carne è quanto di più interiore esista nella fisicità. È la porta di comunicazione tra la carne e lo spirito. Ed è anche la chiave per capire il ruolo di Israele. 

Lo Sfat Emet ricorda che Avraham ha delle difficoltà a capire come possa divenire ‘integro attraverso un’apparente menomazione. È questo il grande esercizio di comprensione che si deve fare con la milà. Com’è possibile che l’uomo possa perfezionare l’opera Divina?

Per spiegare ciò il Rabbì di Gur sottolinea che la fase principale della milà non è il taglio dell’orlà, il prepuzio, quanto piuttosto, laperià. L’operazione cioè, con la quale il moel tira verso il basso la pelle che copre il glande. La corretta esecuzione della perià è assolutamente necessaria perché la milà sia valida: già hanno detto i nostri Saggi ‘mal velò parà, kehilu lo mal. ‘Se ha tagliato ma non ha fatto la perià, è come se non avesse tagliatoL’attenzione che l’halachà riserva alla perià è in effetti la vera discriminante che c’è tra il precetto della milà e le circoncisioni in uso tra tanti popoli. 

Lo Sfat Emet vede in ciò il senso profondo della mizvà. Lo scoprire. Iddio ha creato il mondo in modo tale che ciò che c’è di sacro sia sempre ricoperto e occluso dalla klippà. Dalla buccia. In ogni cosa c’è una radice sacra. Il compito dell’ebreo è quello di far uscire alla luce il sacro, levando la buccia. Questo è in effetti il compito dell’uomo nel mondo. Rivelare il sacro che Iddio ha nascosto nel creato. Cominciando proprio dall’uomo stesso. 

Questo processo fisico esiste in molti precetti della Torà. C’è però anche un processo interiore che segue le stesse modalità. L’anima, la parte più interiore dell’essere, è ricoperta dal corpo. La radice sacra, quell’anima che è un pezzo del Trono Divino e ad esso ci lega perennemente, è racchiusa nella materialità. Ebbene noi dobbiamo riuscire a far uscir fuori questa sacralità. A rompere i vincoli della materia e far uscire alla luce il sacro. Paradossalmente però questo può avvenire solo nella materia stessa. Solo utilizzando la materia per il sacro, il sacro può uscire. 

In una continua sovrapposizione di materia e spirito, questo è quello che avviene anche nella gravidanza e nel parto. ‘En Zur KeEloenu’, ‘Non c’è Rocca all’infuori del Nostro D.’, viene reso dai Saggi come, ‘En Zaiar KeEloenunon c’è artista come il nostro D. perchè il Signore ‘zar zurà betoch zurà Disegna una forma all’interno di un altra formaLo Sfat Emet, dice che questo non si riferisce solo al miracolo della procreazione nella sua fisicità, ma anche al fatto che solo il Signore è in grando di disegnare l’anima all’interno del corpo. Nel lessico dei Maestri il feto è prigioniero nel ventre materno, ma anche l’anima è prigioniera nel copro. Ed in questo gioco di scatole cinesi la donna che partorisce sta scoprendo il neonato da una prima buccia ed il padre, otto giorni dopo proseguirà l’opera con il brit milà.

Il percorso della Teshuvà, del perenne ritorno a D. ed a noi stessi, passa proprio per l’uscita. Josef esce di prigione nel giorno di Rosh Hashanà proprio in quel giorno noi chiediamo: ‘vetozì laOr mishpatenu’, fai uscire alla luce il nostro giudizio. Il Rabbi di Gur dice infatti che i tredici attributi di misericordia che accompagnano le nostre preghiere sono paralleli ai tredici patti stipulati con la milà. Ci sono dei momenti in cui è necessario uscire e far uscire. Un Avraham perplesso, viene fatto uscire dal Signore per contare le stelle. Questa uscita fisica è nell’ottica dei nostri Saggi una richiesta di uscire da una mentalità ristretta. Di uscire dalla cultura imperante. Di uscire dal mondo come lo conosciamo per aprirci alla volontà di D.. Quando nella Mishnà e nel Talmud veniamo invitati a capire a fondo una cosa, l’espressione è ‘Tzè UlmadEsci e studia

Se c’è un momento fondamentale nella storia d’Israele è l’uscita dall’Egitto. Quel Mizraim che significa ristrettezze. Noi siamo il popolo che si definisce proprio per la capacità di uscire fuori. I nostri Saggi ci dicono che non si deve andare in Egitto perché ogni scintilla sacra è stata già raccolta lì. Ossia l’uscita è stata così radicale che non c’è più niente da far uscire fuori in Egitto. Da qui si capisce che l’ebreo non si trova mai per caso in un posto o in una situazione. In ogni momento egli può scoprire il Sacro che c’è in ogni cosa, luogo o situazione. E soprattutto in ogni altra persona. 

Molto spesso, pensando alla milà, si pensa ad una cosa completamente maschile. È vero: la mizvà è del padre e il soggetto è il figlio maschio. Eppure questo è solo un lato della medaglia. L’aspetto fondamentale della milà è infatti la sacralizzazione della vita sessuale dell’ebreo. In un epoca dove tutto è consumo ed il mondo vive in quest’ottica ogni aspetto della vita ed in particolare la sfera sessuale, la Torà ci invita ad essere Santi proprio nella più materiale delle pulsioni umane. Certo è più facile percepire il timore reverenziale di D. se si indossano Talled e Tefillin e si tiene in mano un Sefer Torà. Quanta attenzione, quanto timore del Sacro, abbiamo per i nosti oggetti di mizvà. Ebbene la milà è oggetto di mizvà tanto quanto, ma forse molto più di Tefillin o Sifrè Torà. Ed è con la stesso rispetto del sacro che dovremmo guardare all’atto sessuale. Questo è esattamente il percorso di David nel midrash. Solo alla fine capisce che la sua milà non vale meno dei Tefillin che ha appena tolto.

David si sta immergendo nel mikve. Quel mikve che simbolo stesso del processo di purificazione della donna ebrea. L’altro lato della sacralizzazione del rapporto di coppia. 

Per lo Sfat Emet la milà è anche una chiave per la Torà stessa. I Tosafisti, e lo riporta poi anche il nostro Sfer HaTadir (Rabbì Moshè Bar Yekutiel MeAdumim da Roma) vedono nel verso ‘Mì Iaalè Lanu Ashamaima’ Chi salirà per noi in cielo [a prendere la Torà]le iniziali della parola Milà. Per i Saggi il verso intende che anche se la Torà fosse in cielo dovremmo andarcela a prendere. Lo Sfat Emet aggiunge che proprio attraverso la Milà noi riusciamo a salire in cielo, a ricongiungere materia e spirito. Attraverso la Milà possiamo veramente ricongiungere la Torà terrestre alla Torà celeste. Ma la milà è la chiave per la Torà anche perché proprio non appena il bambino nasce dobbiamo ricordarci che il compito dell’ebreo nel mondo è quello di occuparsi di Torà. Tutto il resto è accessorio. Quant’è bello che l’augurio che si fa circa le capacità dello studio della Torà di una persona sia un verso dei Proverbi (V,16) che dice ‘Yafuzu Maaianotecha Chuza Le tue sorgenti diromperanno fuori di teLa Torà paragonata ad una sorgente deve essere insegnata. La mizvà dello studio della Torà, lo abbiamo detto più volte, è quella di insegnare.

L’augurio che si fa per la Torà di una persona è che possa uscire fuori. Quant’è affascinante che gli ebrei di Roma cantino, nel momento in cui tutta la Torà viene estratta dall’Aron a Simchà Torà, ‘Yafuzu Oievecha’, Si disperderanno i tuoi nemici. Perché se noi sapremo far sgorgare le sorgenti della Torà queste spazzeranno via ogni nemico che cerca, come i filistei prima di lui, di insabbiare le sorgenti della Vita.

E così anche la redenzione sarà accompagnata dallo sgorgare dell’acqua della Torà dal Luogo del Santuario, presto ed ai nostri giorni.
Shabbat Shalom

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