Pagine

giovedì 21 ottobre 2010

Benedetti coloro che siedono e coloro che stanno in piedi

Parashat Vajerà 5771

E apparve a lui il Signore nel querceto di Mamrè, [mentre] egli siede alla porta della tenda, per la calura del giorno.(Genesi XVIII, 1)

siede: è scritto [in forma difettiva che si può leggere] sedeva. [E da ciò si capisce, come dice il Midrash in Bereshit Rabbà XLVIII,7,] che tentò di alzarsi. Disse lui il Santo Benedetto Egli Sia: Siedi ed io starò in piedi. E questo è per te un segno per i tuoi figli, perché in futuro Io sarò presente [in piedi] nel consesso dei giudici ed essi siedono, come è detto Iddio è presente [in piedi] nel consesso del giudizio (Salmi LXXXII,1) (Rashì in loco)

La rivelazione Divina ad Avraham nostro padre con la quale si apre la nostra Parashà è profondamente legata alla milà che Avraham ha appena fatto. Rashì, citando il Midrash, ricorda che era il terzo giorno dopo la milà, il più doloroso, ed il Signore venne a compiere il precetto di fare visita ai malati, secondo il principio di cui molte volte ci siamo occupati per il quale il Signore osserva tutta la Torà.

Altri esegeti insistono sul nesso logico che c’è tra la milà e la rivelazione. Si tratta di un momento fondamentale della storia ebraica. Avraham, ricevendo il primo precetto che lo discrimina dai Noachidi diviene ebreo. Dalla radice ever, dallaltra parte. Diviene un altra cosa. Da qui che questa rivelazione è particolarmente importante, perché è da questo momento che Avraham si staccahalahicamente definitivamente dal resto del mondo. Il verso in effetti sottolinea questo aspetto calcando su elav, a lui, e non ad altri e sottolineando altresì il luogo: il querceto di Mamrè. L’unico tra gli amici di Avraham ad aver accettato l’idea della separazione spirituale di Avraham attraverso la milà. L’oggetto della rivelazione è triplice come tre sono gli angeli: la guarigione di Avraham, l’annuncio della nascita di Itzchak e l’annuncio della distruzione di Sdom.

Lo Sfat Emet spiega, sulla scia di molti rishonim, che è solo dopo la milà che Avraham è in grado di vedere. La milà apre un mondo nuovo per Avraham. Il processo di rivelazione del sacro attraverso la perià e la rimozione di ogni ‘buccia’, come abbiamo visto la scorsa settimana, pone Avraham in una condizione nuova. È ora in grado di ricevere una rivelazione qualitativamente superiore. Ciò che però attira l’attenzione del Rabbi di Gur è piuttosto l’atteggiamento di Avraham ed in particolare il suo stare seduto alla porta della tenda.

La porta, simbolo di comunicazione tra luoghi diversi, rappresenta qui il punto di legame tra elionim e tachtonim. Tra il mondo Divino e quello umano. Iddio desidera l’opera degli uomini. Egli poggia il mondo spirituale sulle mizvot degli uomini che aprono la porta all’immanenza Divina in questo mondo. La grandezza di Avraham è nella profonda comprensione che nonostante tutto ciò egli resta alla porta del Sacro. All’apice della scalata del Sacro, nel momento in cui esegue la prima mizvà come ebreo ed apre la porta ad un nuovo rapporto tra D. e l’uomo, Avraham sa di essere solo un uomo alla porta del Sacro. Questa incredibile modestia si riscontra nell’operato di Avraham che invece di crogiolarsi del precetto appena compiuto cerca viandanti, certamente gentili, da assistere. Avraham, lo dice Rashì, era sulla porta per cercare ospiti. Lo Sfat Emet vede in ciò il fatto che Avraham, nel momento in cui diviene ebreo, non rinuncia al suo ruolo universale ma anzi vuole aprire la porta della rivelazione Divina al mondo intero. Lo Sfat Emet sottolinea qui che il vigore spirituale di Avraham non si è smorzato. Non è una rinuncia apatica la sua. Il caldo del giorno descrive per il Rabbi di Gur il calore del fermento spirituale di Avraham. Il caldo del giorno è la febbre di Avraham malato sì, ma di una malattia particolare. Cholat Haavà è il malato d’amore in una parafrasi del Cantico dei Cantici. Avraham non si ferma per via del caldo, si ferma nonostante il caldo. Riesce ad imbrigliare l’entusiasmo spirituale in un atteggiamento più corretto. Avraham, sulla porta, argina il calore della giornata.

Ma Avraham non è solo sulla porta, egli siede sulla porta.

Il fatto che Avraham sieda incuriosisce i nostri Maestri. Il Midrash lo abbiamo visto nel commento di Rashì, vede in ciò un messaggio per le generazioni future. In senso assoluto non è corretto che il Maesto stia in piedi e l’alunno sieda. Iddio, per l’amore d’Israele è disposto a rovesciare questo rapporto. Lui è in piedi, Avraham siede. L’esempio che porta il Midrash è legato alla sfera del giudizio. I giudici devono sedere. Sedere significa riflettere. Significa ponderare. Sedere è nell’immaginario ebraico sinonimo di studio della Torà. La Yeshivà, il luogo dello studio, è il luogo in cui yoshvim, ci si siede. La staticità del sedersi implica la serietà del processo.

Lo Sfat Emet dice ‘Siede alla porta della tenda: è un termine che indica trattenersi, ed è un termine presente. Ovvero si imparano due cose dal verso. Che Avraham si trattiene, cioè non va via, non passa ad altro. E che Avraham siede, al presente. Il Rabbi di Gur chiama in causa in tal senso un verso dei Proverbi (VIII, 34) che descrive Israele nel suo alzarsi di buon mattino presentandosi alle ‘Mie Porte’, le porte delle Sinagoghe e dei Batè Midrash (lishkod al daltotai), giorno dopo giorno (yom yom) senza muoversi mai da esse, (lishmor mezuzot petachai), come una mezuzà che non si stacca dallo stipite.

Il sedersi di Avraham diviene allora il prototipo dell’atteggiamento che si deve avere nello studio della Torà. La Torà la si studia seduti. Ben vengano le pillole di Torà che nel nostro mondo frenetico ognuno di noi cerca di ingoiare tra una cosa e l’altra, ma la Torà ha bisogno dei suoi momenti. Di approfondire. Di trattenersi. Di riflettere. Allo stesso tempo la Torà ha bisgono di assiduità. Il rapporto con D. e con il Sacro lo si costruisce yom yom. Ogni giorno. Avraham è colui che dopo aver toccato il Cielo, dopo aver aperto la porta del Cielo, sa tornare per terra e ricominciare ogni giorno da capo, dal lavare la polvere dai piedi di un viandante.

Questo sedere non è un inno alla staticità. È paradossalmente il presupposto perché Iddio possa stare in piedi. La dinamicità del Sacro è legata ad un certo grado di staticità dell’uomo. Perché la Torà scritta, Divina ed immutabile, possa marciare, l’uomo deve sedersi e fermarsi per occuparsi della Torà Orale, la Torà dinamica.

In questo senso lo Sfat Emet intende quanto detto dai Saggi: se l’uomo apre per D. una porta grande quanto la fessura di un ago, Iddio gli aprirà un portone grande quanto il portone dell’Ulam del Santuario. L’opera dell’uomo, per quanto piccola, innesca l’aiuto Divino. L’uomo si sforza e fa una piccola mizvà in più, dal Cielo viene aiutato e riceve una benedizione spirituale assolutamente sproporzionata: in verità la cosa importante è laiuto del Cielo ma in ogni modo tutto dipende anche dallopera delluomo.

I Saggi non hanno parlato a caso di portone del Santuario. Il Santuario è infatti al contempo la summa dell’opera umana nella sua materialità e la porta di comunicazione tra D. e l’uomo. Nel momento in cui il Santuario è pronto Moshè benedice il popolo con le parole:

Disse loro: Sia la Volontà che risieda la Presenza Divina nellopera delle vostre mani, Sia la grazia del Signore nostro D-o su di noi... (Salmi VII, 17) e questo è uno degli undici Salmi composti da Moshè.” (Rashì in loco citando Bemidbar Rabbà 2,9)

Il verso per esteso dice ‘Sia la grazia del Signore nostro D. su di noi, e lopera delle nostre mani rinsaldi su di noi, e lopera delle nostre mani rinsaldala.
Lo Sfat Emet spezza il verso nelle sue tre parti. Sia la grazia del Signore nostro D. su di noi è il mistero Divino che è al di là ogni comprensione umana. Lopera delle nostre mani rinsaldi su di noi è la porta che i tachtonim, gli uomini, schiudono per conto loro. Lopera delle nostre mani rinsaldala sono la Torà e le Mizvot. Quesi tre livelli trovano il loro equilibrio proprio nella Torà e nelle Mizvot che è il punto di incontro tra l’opera imperscrutabile del Signore e l’opera degli uomini. Questo è secondo il Rabbi di Gur il senso di quanto dice lo Zohar: che il Santo Benedetto Egli Sia, la Torà ed Israele sono una cosa sola.

Il verso con cui Moshè descrive il completamento del Santuario definisce dunque il rapporto tra D. e l’uomo attorno alla Torà. Il Santuario in effetti si articola attorno all’Arca. L’epicentro del Santuario è il luogo nel quale Iddio ha creato la materia, la prima pietra, e sul quale posa l’Arca con la Torà. Petach HaHoel, la porta della Tenda del nostro verso è un termine che torna molte volte nella Torà. Esso si riferisce generalmente alla Tenda della Radunanza, il Santuario. Petach Hoel Moed è un richiamo rituale che indica determinate operazioni del culto sacerdotale che vanno necessariamente svolte nel cortile interno, la azarà, che si trova appunto oltre la porta, il portone dell’Ulam. Questo cortile è in effetti lo spazio umano, più prossimo allo ‘spazio’ del Divino. Il centro della azarà è l’altare, costruito nel luogo dal quale Iddio ha preso la terra per formare il primo Uomo, Adam. Nel Kodesh, oltre la porta, è spazio Divino interdetto all’uomo se non per l’espletamento delle funzioni sacerdotali ‘ed ogni uomo non vi si troverà leggiamo nella Parashà di Acharè Mot.

E qui accade una cosa curiosa. Iddio, che è sempre ‘in piedi’, ‘siede sui Cherubini dellArca. Il Santuario è il luogo (makom) nel quale Egli che è il Luogo del mondo (Makom) siede. Si trattiene con noi. Risiede in mezzo a noi. Se stare in piedi significa muoversi, vuol dire che al contrario il Santuario è il luogo dell’azzeret del trattenersi. Dell’incontrarsi. Le feste, i Moadim, sono i momenti chiave del Santuario proprio come moed, appuntamento nel senso di tempo e luogo per incontrarsi come insegna Rav Mordechai Elon shlita. Al contrario nella azarà, nella quale solo gli ebrei possono entrare, è proibito sedere. Tanto è proibito sedere che il Sinedrio, il Tribunale per eccellenza ed il simbolo dello studio della Torà e della Torà orale tutta, nel quale come visto si deve sedere per forza, è costruito sul limite della azarà: mezzo dentro e mezzo fuori in modo che sia sì nella azarà ma si estenda fuori, in modo che i giudici possano sedere oltre il limite della azarà stessa.

Questa regola ha un eccezione notevole. Il re. Il re d’Israele, solo se di stirpe Davidica, ha il diritto di sedere nel cortile interno. David che come abbiamo visto la scorsa settimana rappresenta la comprensione profonda del concetto della milà è re d’Israele in quanto funzionale al regno di D. nel mondo. Solo un re della Casa di David può sedere nel luogo in cui D. stesso siede. Tutto ciò è profondamente inerente al concetto della giustizia e della sua amministrazione. La giustizia richiede il sedersi. Anche quella Divina. Nell’immaginario di Rosh Hashanà Iddio Yoshev al Kisè Mishpat/Din e poi Yoshev al Kisè Rachamim. Prima siede sul trono della giustizia, poi si alza al suono dello Shofar e siede su quello della misericordia. Anche il trono del re e del potere politico deve segnalare l’amministrazione della giustizia, ma questo è possibile solo con la Casa di David. Per tutti gli altri re, anche per quei re che in maniera più o meno legittima hanno regnato su Israel senza essere di stirpe Davidica, valgono due regole: non hanno diritto di sedere nellaazarà ed inoltre per loro vale la regola che ‘il re non giudica e non lo si giudica.

Solo David e la sua discendenza siedono e possono giudicare, persino nel cortile interno. Il regno Divino è veramente stabile - Iddio siede - solo se David siede sul trono d’Israele nel cortile interno del Tempio.
Il Talmud dice anche che le porte del Tempio restarono sprangate quando Salomone voleva introdurvi l’Arca con la Torà. A nulla sono valsi tutti i versi intonati da Salomone, finché Salomone non chiede ‘ricorda la bontà di David Tuo ServoSolo allora si aprirono. In maniera curiosa il Talmud asserisce che gli oppositori di David che lo accusavano di una condotta sessuale inadeguata per via dell’episodio di Bat Sheva restarono ammutoliti. L’apertura delle porte del Santuario sono la conferma dell’integrità della milà di David.

Rabbì Ovadià Sforno sottolinea che Iddio si rivela ‘in piedi’ nel luogo della milà di Avraham perché è un brit, un patto. E quando si fa un patto si sta in piedi, come evince il maestro italiano da numerosi versi della Torà. E conclude in maniera incredibile: ‘forse è per questo che si usa preparare una sedia nel momento della milà e nel suo luogo.

Apparentemente non ha senso quello che dice Sforno. Solo dopo tutto ciò che abbiamo detto possiamo capire. La sedia del profeta Elia che annuncia l’avvento del Figlio di David, è presente ad ogni brit milà proprio a ricordare il legame inseparabile che c’è tra milà e David, tra il sedere davanti al Signore che è in piedi e l’amministrazione della giustizia e lo studio della Torà che si fa seduti.

Forse possiamo allora apprezzare meglio l’augurio che si fa pochi attimi prima che il moel pronunci la benedizione e faccia la milà. Beruchim HaYoshevim veAomedimBenedetti coloro che siedono e coloro che stanno in piedi. Rav Menachem Immanuel Artom lo riferisce al pubblico in piedi ed al sandak, il comprare, che è seduto. Ma oltre al pshat, al senso immediato, tutta la milà, da Avraham in poi, ruota attorno allo stare in pedi o seduti. E mi accorgo solo ora che in effetti nel rito della Comunità di Roma, nella quale i due sandakim stanno in piedi, l’unico che siede è proprio il bambino. Forse un augurio che il bambino circonciso possa essere colui che nel Santuario ricostruito, siederà sul Trono d’Israele.
Shabbat Shalom

Nessun commento:

Posta un commento