Parashat Vajezè 5771
La nostra Parashà si apre con lo straordinario sogno di Jacov nostro padre. Il mio Maestro Rav Chajm Della Rocca shlita, ricorda spesso che Jacov fa questo sogno così importante e spirituale dormendo per terra. A Charan Jacov sognerà invece animali. Da qui che è meglio dormire per terra in Erez Israel che nei migliori comfort nella golà.
Per tanti anni ho sottovalutato l’importanza di questo insegnamento. Secondo il Midrash Jacov si è appena fatto derubare dal figlio di Esav che era stato mandato ad ucciderlo. ‘Il povero conta quanto un morto’ dice il Talmud e Jacov vuole metterlo in condizioni di poter dire al padre di averlo ucciso. Jacov è dunque povero. Dorme per terra forse anche perché non ha di che pagare un alloggio a Luz, che era lì vicino. Il Midrash, è noto, dice invece che la terra si accorciò, e così il giorno, ed egli fu colto dalla notte. Questo spiega anche come mai Jacov abbia trasgredito quanto dicono i Saggi: che si deve entrare in città prima che faccia buio. Forse il doppio miracolo della terra e del giorno che si accorciano è quello di non avergli consentito di giungere in città dove forse non avrebbe potuto dormire per terra. Va però ricordato che Jacov ha un papà molto ricco. Ed anche Avraham era ricco. Questo improvviso stato di povertà deve certo aver colpito molto il nostro patriarca e ciò si vede anche dalle richieste materiali che inserisce nella preghiera.
Allo stesso modo Jacov torna ad essere ricco grazie al proprio ingegno e lavoro, indipendentemente dalla ricchezza di famiglia. È interessante notare l’attenzione che Jacov pone nella materialità: Rashì spiega così l’attaccamento ai piccoli vasi di olio oltre lo Jabbok della prossima parashà. I giusti faticano per il proprio sostentamento e non sprecano nulla.
Povertà e ricchezza materiale è accompagnata anche da povertà e ricchezza spirituale. Rav Mordechai Elon shlita parla spesso di Charan in termini di ‘Khaal Kadosh’, il termine che indica la Comunità. Jacov a Charan ha una vita spiritualmente intensa. Nel buio della golà la luce dello Zaddik brilla di più. A Charan Jacov mette al mondo undici dodicesimi del popolo ebraico più una figlia. A Charan Jacov pone le basi per divenire Israel.
Lo Sfat Emet sottolinea che la rivelazione del sogno della scala avviene nel momento in cui Jacov accetta una discesa spirituale. Jacov sceglie di entrare nel buio del galut per pavimentare la strada del popolo ebraico in ogni suo esilio. Questa discesa è consapevole ma non meno dura. Così il Rabbi di Gur spiega il fatto che la rivelazione avviene in sogno. Jacov sceglie un livello nel quale la rivelazione diretta da sveglio ‘aspeklaria meirà’, non è possibile. Forse così anche va inteso il midrash quando dice che Jacov non vuole salire sulla scala, anche dopo l’invito Divino. Questo è il momento in cui per la tradizione Jacov istituisce la preghiera di Arvit, nella sua complessità: una preghiera non obbligatoria poi codificata dai Saggi. È la preghiera nel buio, nelle avversità. Jacov vi giunge sulla base dello sforzo applicato nel corso della giornata. Il sogno è perciò un grande attestato delle virtù di Jacov che riesce a trascinare nel buio della notte e del galut la luce della Torà di Erez Israel. La grandezza di Jacov sta proprio nel non montarsi la testa. Avrebbe dovuto essere orgoglioso del sogno, dice lo Sfat Emet, e invece ha paura. Paura di non essere all’altezza.
Al contrario, a Charan Jacov risorge. Sposta pietre enormi con la forza della fede, diventa fonte riconosciuta di benedizione (Lavan e i suoi figli) si sposa due volte, mette al mondo figli e diviene Israel.
Quando i Saggi dicono che è meglio dormire per terra in Erez Israel che sui cuscini a Charan ci stanno dando una chiave di lettura molto più profonda di quello che crediamo. Non è solo una questione di evidente attaccamento sentimentale ad Erez Israel. C’è qualcosa di più.
La forza di Erez Israel è tale da renderla il centro gravitazionale della Torà, anche quando il livello spirituale apparente è superiore nella Golà. Maimonide, sottolinea che il Rosh Chodesh dipende dal Tribunale di Erez Israel. E persino se tutti i Saggi sono in golà e tre soli pastori ignoranti in Erez Israel, sono
questi ultimi a stabilire e santificare il primo del mese.
Lo Sfat Emet sottolinea che la Kedushà di Erez Israel dirompe nel miracolo della concentrazione della Terra che secondo il Midrash si raccoglie tutta sotto al corpo del giusto. Così anche il tempo si restringe in un unico punto di congiuntura tra presente passato e futuro. Jacov poi è nell’immaginario rabbinico l’anima che racchiude tutte le anime. Tempo, Spazio ed Uomo Olam Shanà e Nefesh, si contraggono. Il Rabbi di Gur dice che questo fenomeno è parallelo al fatto che Iddio, Benedetto Egli Sia, che è infinito, fa ‘contrarre’ la Sua presenza tra le due aste dell’Arca, che successivamente era posta proprio nello stesso luogo in cui Jacov si stende. Jacov e tutto l’universo con lui, ‘implode’ nel luogo in cui si contrae la Shechinà stessa.
Nel pensiero dello Sfat Emet ciò che mette in moto questo meccanismo è la ‘nostalgia di Jacov per Erez Israel’. Tale nostalgia è segnalata dalla raccolta delle pietre, sulla scia del verso dei Salmi che dice ‘Ki razzù avadecha et avanea’. I tuoi servi hanno desiderato le sue pietre. Queste pietre, che si cementano poi in un’unica pietra, sono per lo Sfat Emet le lettere della Torà. Jacov, con il suo amore per Erez Israel compone attraverso le pietre-lettere la preghiera di Arvit.
Quando, alla fine della Parashà, Jacov si appresta finalmente a tornare in Erez Israel, nello stipulare il patto con Lavan, dice ai figli di raccogliere delle pietre. La presa di possesso di Erez Israel passa per le pietre intese come lettera della Torà. È forse per questo motivo che la Torà sottolinea in questo la differenza tra Israel ed il resto del mondo nell’uso delle lettere e della lingua ebraica. Quello che per Lavan è Yegar Saadutà, per Jacov è Galed.
In una sua straordinaria intuizione lo Sfat Emet cita il Midrash: Iddio ha messo nel linguaggio dei Padri la chiave della redenzione. Il Midrash lo dimostra con una serie di versi nei quali si alternano frasi dei Padri, ed in particolare quelle della nostra Parashà, e dei Profeti e si alterna anche la forma verbale passata e futura. Lo Sfat Emet spiega che questo è il senso profondo di un curioso quanto profondissimo fenomeno grammaticale dell’ebraico. La vav haipuch. La vav conversiva. Quella lettera vav che trasforma il passato in futuro e viceversa.
La redenzione futura sarà testimonianza della veridicità della rivelazione passata. Passato e futuro si fondono attraverso una vav, lettera che indica il collegamento. Il passato diviene futuro e il futuro passato. Il passato trova nel futuro la sua riprova ed il futuro si radica nell’esperienza storica. Ma per il Signore che è fuori dal tempo, c’è solo il presente. La vav conversiva diviene allora non solo il punto di contatto tra passato e futuro, ma anche tra uomo e D.
Il collante del Santuario sono i vavvè haamudim, laddove la vav diviene figurativamente ciò che tiene assieme le cortine del Mikdash.
Non è certo un caso che proprio Jacov ha con la lettera vav un rapporto speciale. Jacov è scritto quasi sempre in forma difettiva, senza vav. Solo per cinque volte compare Jacov con la vav. Sono, per la tradizione parallele alle cinque volte in cui Eliahu, annunciatore della redenzione è scritto Elià, senza vav. Jacov ed Elià sono legati dalla vav. L’esprienza dei Padri e la Redenzione passano per la vav.
Tempo, spazio, umanità, presente e passato si concentrano in un solo punto.
Il corpo di Jacov che racchiude tutte le anime arriva a coincidere con Erez Israel. Futuro e passato diventano presente. Tutte le lettere diventano una vav.
Questo momento-luogo unico non è un una tantum. Non è mai finito. Il senso del sogno della scala nelle sue diverse interpretazioni legate alla storia di Israele lo indicano chiaramente. Jacov è ancora steso lì, l’universo è anora racchiuso sotto al corpo di Jacov tanto che i Saggi dicono che il suo ‘djukan’, il suo ritratto, è scolpito nel Trono di D.
Rav Dessler in Mictav MeEliau dice, in versi poetici, che futuro e passato sono irrilevanti. Uno è solo ricordi, l’altro è solo speranze. Ma il presente ‘chajechà u, vecullò rak nissionot. È la tua vita ed è tutto solo prove.
Jacov, nel profondo dell’abisso di un esperienza tutt’altro che simpatica, capisce che il passato di ricchezza e l’incertezza del futuro non contano nulla. Conta solo il presente ed il modo in cui si affrontano le prove che Iddio ci invia.
Può essere tremendamente difficile. È certo più facile la vita della comoda Santa Comunità di Charan. Ma non è quello che il Signore vuole. È meglio dormire per Terra in Erez Israel perché solo in Erez Israel è possibile collegare passato e futuro nel presente del Signore.
In Erez Israel Jacov non ha nulla, ma innesca la costruzione del Santuario in quel luogo. A Charan ha tutto, ma è nel luogo dove Lavan minaccia di distruggere tutto, peggio del Faraone.
La grandezza di questo insegnamento è proprio lo stravolgimento dei molti luoghi comuni. Ci sono infinite scuse per non adempiere al precetto positivo di risiedere in Erez Israel. Molte sono legate al passato ed alle tradizioni. Altre al futuro ed a progetti differenti. Ma solo in Erez Israel possiamo vivere il presente della nostra vita ebraica.
In golà possiamo forse avrere di più. In Israel possiamo essere. Essere al presente.
Curioso che il verbo essere al presente in ebraico non esista. Il presente del verbo essere è il Nome di D., che non si può pronunciare. Se non proprio in quel Luogo dal Sommo Sacerdote quando è chiaro a tutti che Israel ed il Santo Benedetto Egli Sia e la Torà, sono una cosa sola.
Shabbat Shalom
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