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giovedì 19 marzo 2009

Cosa vede un manigh

Il Talmud (Bavà Kammà 52a) riconosce che determinati gesti segnalano il passaggio di proprietà. La consegna delle chiavi segna per esempio il passaggio di proprietà di una casa. Un gregge passa di proprietà quando la sua conduzione viene consegnata. Come si conduce un gregge? C'è chi dice che ciò che conta è il campanello che usa il pastore. Per Rabbì Jacov però un gregge si conduce con la capra che procede sempre davanti. C'è ossia un animale che guida il gruppo e la sua consegna equivale al passaggio di proprietà. 

Il Talmud coglie l'occasione per riportare un interessante insegnamento sul concetto di leadership a nome Di quel Galileo che insegnava (era portavoce) di Rav Chisdà. Questi dice che la controprova si ha dal fatto che quando il pastore è arrabbiato con il gregge, acceca questa capra. Rashì spiega che accecando la capra che guida il gregge, questa seguita da tutto il gregge cade in un pozzo. Per Rashì la parabola segnala il rapporto tra il Signore ed Israele suo gregge. Quando Iddio è adirato contro Israele, gli nomina dei leaders indegni che lo conducono alla cieca e lo fanno cadere nei pozzi di cui abbiamo parlato qualche giorno fa.

Il leader indegno - che riceviamo come punizione è dunque paragonato ad un cieco. E tutti noi siamo condannati a seguire un cieco verso la caduta.

Nella tradizione ebraica il leader è un inviato, un messo. Questi deriva la sua autorità dall'essere inviato del pubblico. Non gode di nessun privilegio di per se. Rav Yuval Sharlo shlita, appena qualche giorno fa ricordava ai membri della Kenesset che sono tenuti dalle regole della shlichut ad adempiere a quanto pattuito con gli elettori che li hanno nominati. 

In maniera molto interessante una delle frasi che si sente ripetere, almeno qui in Israele, per motivare il discostarsi dei leader dai loro impegni elettorali è che 'le cose che si vedono da qui non si vedono da lì'. Va di moda dire che il ruolo di responsabilità crea ex novo un senso della vista diverso da quello del pubblico. La realtà è che questa vista è purtroppo spesso cecità. 

Non è questo un discorso a favore di una parte politica o di un'altra. E' un richiamo al concetto di shlichut che troppo spesso viene dimenticato. 
I Profeti di Israele sono chiamati coloro che vedono. I vedenti. La vista non è assoluta. Chiunque abbia bisogno di occhiali sa bene qual'è la sensazione che si prova nell'inforcarli. Ciò che si vede assolutamente sfocato diventa limpido. Una lente migliore ci fa vedere ancora oltre. Una lente spirituale maggiore permette una vista ancora migliore. Adam HaRishon vedeva secondo il midrash da un capo all'altro del mondo. 

Questa contrapposizione tra la cecità del leader indegno e la vista perfetta del grande manigh è allora funzione del suo riconoscere il suo ruolo come semplice rappresentate del pubblico.

Nella doppia  Parashà di questa settimana, con la quale concludiamo l'Esodo, Moshè, colui che ha raggiunto la più profonda delle visioni - la visione del "retro del Signore" - da prova proprio di ciò.

"E non poté Moshè venire alla Tenda della Radunanza poiché risiedeva su di essa la nube, e la Gloria del Signore riempiva il Santuario". (Esodo XL, 35)

Ma come non poteva? Colui davanti al quale si è piegato l’Egitto, si è aperto il mare, è scesa la Manna! Colui che è salito sul Sinai ed è stato quaranta giorni e quaranta notti senza mangiare ne bere! Per tutto il libro di Shemot non abbiamo fatto che parlare di Moshè e delle sue prodezze! Ed ora che il Santuario è pronto!? ‘E non poté Moshè’!?.

La grandezza di Moshè spiega Rav Mordechai Elon shlita è quella di non montarsi mai la testa. Ha ricevuto l’ordine di costruire il Santuario e lo ha fatto. Il Santuario è pronto, e Moshè consegna la chiavi ad Israele. Torna in cuor suo ad essere un ebreo come gli altri. Perché dovrebbe entrare lui? Solo quando Moshè torna in cuor suo ad essere uno qualsiasi, nonostante tutto quanto fatto fino ad ora, ‘e completò Moshè l’opera’. 

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