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sabato 21 marzo 2009

I Quattro Figli nel Matan Torà

E' noto che compaiono nella Torà due versioni delle aseret hadiberot, le dieci parlate: una nella parashà di Itrò ed una nella parashà di Vaetchannan. I nostri Maestri hanno attentamente analizzato le differenze tra le due versioni cercando di spiegare alcune delle piccole differenze che le caratterizzano.

Il Talmud, nel trattato di Bavà Kammà (55a) cerca di capire come mai nella prima versione non compaia la radice di tov , bene che invece appare nella seconda versione in relazione al premio per l'adempimento al precetto dell'onore che si deve ai genitori.

Dopo una serie di incertezze - non tutti sono sicuri che la prima versione corrisponda a quanto era scritto sulle prime tavole e la seconda sulle seconde - il Talmud conclude la discussione con un insegnamento a nome di Shemuel bar Nachum per il quale il motivo è da ricercare nel fatto che le prime tavole vengono rotte.

Se in esse ci fosse stata la radice tov, ciò avrebbe significato - non sia mai - l'interruzione del bene da Israele

Il Maharil spiga che il livello spirituale delle prime tavole è quello degli angeli. Israele aveva raggiunto un livello spirituale altissimo ed ara quindi scollegato dalla materialità. Questo livello non può corrispondere alla parola tov perché questa indica che qualcosa si addice ad una situazione, in questo mondo. Per definizione dice il Marhil, non è corretto descrivere l'uscita da questo mondo materiale come una cosa buona-tov. Non perché l'accettazione delle prime tavole non fosse un bene, ma perché il livello che comportava non era conciliabile - non si addiceva - a questo mondo materiale. Tant'è che quel livello non dura e le Tavole vengono spezzate. Al contrario le seconde tavole - quelle in qualche modo sono in vigore ancora oggi - rappresentano il modello sostenibile.

Rav Dessler, sulla stessa linea, spiega in Mictav MeEliau (IV, 292) che le prime tavole erano sì ad un livello superiore, ma questo livello non siamo riusciti a raggiungerlo veramente. Al contrario il livello delle seconde tavole, seppure inferiore, è un livello in cui possiamo trovare la nostra completezza. Da qui si impara che è preferibile un livello inferiore in completezza che un livello superiore che non è il nostro.

L'idea che si deve servire Iddio al proprio livello non vuole in nessun modo fossilizzare la nostra avodat Hashem, il nostro Culto. Tutt'altro. Per servire il Signore però si deve essere autentici. Rachamanà libà baè. Il Misericordioso desidera il cuore. E non si può essere autentici ad un livello che non è il nostro. L'idea dell'autenticità del livello - alla quale per il Marhil corrisponde la parola tov - è allora legata al rapporto genitori-figli nel cui comandamento è incastonata la parola tov.

Questi concetti diventano una delle principali chiavi di lettura per quello straordinario momento di rapporto inter-generazionale che è il Seder di Pesach. 'Rispetto a quattro figli ha parlato la Torà'. Non solo troviamo infatti quattro diverse domande, poste da quattro diversi figli e le loro risposte. Ma la stessa halachà è che in questa sera è obbligo del padre insegnare al figlio secondo il suo livello.

I Maestri del Mussar hanno allargato questo concetto sottolineando che anche il figlio per uscire d'obbligo deve domandare secondo il suo livello. Ognuno di noi, per uscire d'obbligo la sera del Seder, deve riuscire a fare una domanda vera. Una domanda secondo il suo livello. Deve chiedersi e chiedere qualcosa che veramente non ha capito fino in fondo. Il Saggio non esce d'obbligo con la domanda del semplice e viceversa.

Essere autentici significa però anche accettare che la vita non è statica. Non è detto che la domanda semplice che era al mio livello lo scorso anno vada bene quest'anno. Essere genuini significa capire che la vita e la Torà con essa è dinamica e che se è vero che Iddio mi chiede di essere coerente col mio livello si aspetta un lavoro sistematico perché questo livello cresca. Perché il rischio paradossalmente è duplice. Da una parte si rischia di sovrastimare le nostre capacità - ed allora si rischia di fare l'errore delle prime tavole - ma anche il rischio di sottovalutare le nostre capacità non è certo una scelta migliore.

Vale la pena ricordare in questo senso il ruolo fondamentale di Moshè. Moshè - colui che dalla nascita è chiamato tov dalla Torà - rompe le Tavole quando capisce l'incoerenza di livello che essere rappresentano.

Ed è questo gesto, che D. approva, che secondo Rashì è la summa della vita di Moshè che viene celebrata negli ultimi versi della Torà. Un monumento alla autenticità.

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