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martedì 17 marzo 2009

Quando vanno aperti i pozzi

All'inizio del trattato di Shekalim, il Talmud elenca le cose che vanno fatte nel mese di Adar. Nella seconda metà del mese, avvicinandosi a Pesach, il Tribunale ed i suoi preposti devono preoccuparsi di numerose necessità pubbliche. Tra queste c'è l'acqua: nella seconda metà di Adar non solo si riparano i mivkaot ma si rimuovono anche le chiusure dei pozzi che resteranno poi aperti fino alla fine dell'estate. 

La festa di Pesach, all'epoca in cui esisteva il Santuario presentava una logistica estremamente complessa vista la massiccia migrazione dell'intero popolo che veniva a Jerushalaim per presentare il korban Pesach. Il processo di purificazione sommato alle fisiologiche necessità di un così grande numero di persone rendeva il problema dell'acqua un problema nazionale. La pubblica amministrazione era allora preposta a farsi carico di soluzioni il cui genio ingegneristico è preservato ancora oggi in reperti archeologici incredibili. Si lavorava tutto l'anno per garantire abbastanza acqua per Pesach. Tale era l'importanza di queste attività che esse erano finanziate dai shajarè halishkà, da quanto avanzava dalla tassazione dei mezzi sicli dell'anno precedente. Dunque un'attività sacra. Alcuni nomi dei preposti sono sopravvissuti fino a noi. Un tale Shimon proveniente dal villaggio di Sachnin, in Galilea, esercitava a Jerushalaim e si riteneva, secondo il Midrash Kohelet Rabbà (IV,17), grande quanto Rabbì Jochannan ben Zakai.

Da qui capiamo che non si tratta solo di ingegneria idrica: queste opere avevano una profonda valenza spirituale. 

Il "ministro dell'acqua" per eccellenza è però nel Talmud, Nechunià lo scavatore dei pozzi. La sua storia compare in Bavà Kammà 50a - in un passo che si occupa dei danni causati da un pozzo - in Jevamot 121b - in un passo che si occupa delle possibilità di sopravvivenza di chi cade in un pozzo e nello stesso trattato di Shekalim 14a - nel passo che elenca le cariche di responsabilità nel Santuario. 

Nei tre passi talmudici in questione Nechunià è descritto come una persona rispettabilissima, un grande professionista, il cui lavoro giova alla collettività. Una persona dai grandi meriti. In Bavà Kammà si dice che i Saggi lodavano il fatto che egli stava attento ad adempiere alla regola che prevede che colui che scava un pozzo nella proprietà pubblica, lo consegni alla collettività stessa in modo da non essere più responsabile per eventuali danni che questo provochi.  Ma Nechunià è soprattutto famoso per due incidenti che riguardano i suoi figli.

La figlia di Nechunià cadde in uno dei grandi pozzi scavati dal padre. Quando fu avvisato Rabbì Channanià ben Dossà perché pregasse per la sua salvezza questi rassicurò che ella stava bene sia nella prima ora che nella seconda. Quando giunse la terza ora oltre la quale si ritiene non si possa resistere, egli annunciò che era uscita dal pozzo. E così fu. Quando chiesero alla figlia di Nechunià come aveva fatto a uscire, disse che era stata aiutata da un montone condotto da un vecchio. Quando chiesero a Rabbì Channanià ben Dossà come faceva a sapere cosa era accaduto - era forse un Profeta ? - questi rispose dicendo "Non sono un Profeta e non sono [nemmeno] figlio di un Profeta, ma ho detto: 'Nella cosa [per la quale] il giusto si affatica può cadere la sua discendenza? '

Il principio che ricorda  Rabbì Channanià ben Dossà è che quando una persona fa una mizvà in un determinato contesto, non viene punito in quell'ambito. Il suo merito protegge lui e la sua famiglia. Nechunià aveva così tanti meriti per i pozzi di cui si occupava che non era possibile la beffa della morte della figlia in un suo stesso pozzo. Anche se era stato deciso che la figlia dovesse morire. Infatti mentre per Rashì,  quello di Rabbì Channanià ben Dossà è un semplice ragionamento, per Rabbenu Jeshajà riportato dalla Shità Mekubezet,  Rabbì Channanià ben Dossà prega per la figlia di Nechunià ed il Signore accetta il suo ragionamento sulla base del principio che "il giusto decreta, ed il Santo Benedetto Egli Sia mantiene".

Quanto all'assistenza che ha ricevuto la figlia di Nechunià dal montone guidato dall'uomo anziano, questi è secondo Rashì, Avraham che conduce il montone sacrificato al posto di Izchak. Dunque il merito della legatura di Izchak. Ben Jeoiadà spiega che il merito di Avraham - l'uomo delle buone azioni verso il prossimo - si riflette nel comportamento di Nechunià per il prossimo - e salva la figlia. 

Potrebbe finire qui con il lieto fine, ma il Talmud non fa sconti a nessuno. 

La figlia di Nechunià si salva, ma il figlio di Nechunià muore di sete. 

Il Talmud cerca di capire cosa possa essere successo e spiega come spesso accade dinanzi all'incomprensibile, che Iddio è più rigoroso con i giusti. Proprio perché Nechunià era un giusto lo standard con il quale viene giudicato ed eventualmente punito è maggiore. In maniera molto interessante l'interprete degli eventi relativi a Nechunià è  Rabbì Channanià ben Dossà.  Rabbì Channanià ben Dossà ha lui stesso una storia difficile. Da una parte secondo i Saggi il mondo si regge sul suo merito, d'altro canto questi viveva in una povertà spaventosa. Il Talmud ricorda la dignità di lui e sua moglie che facevano finta di avere per non ricevre zedakà.  Rabbì Channanià ben Dossà e sua moglie sono l'esempio per eccellenza di coloro che riceveranno la ricompensa solo de esclusivamente nel mondo futuro. 

Questo a dire, che quando entriamo nel difficile campo del criterio in base al quale il Signore ricompensa, possiamo provare a tracciare delle linee generali nella consapevolezza che ci sono delle cose che non si possono capire.

E' questo dunque il momento dell'anno in cui si aprono i pozzi. Non si può arrivare a Pesach senza passare per l'apertura dei pozzi. Sono i pozzi dell'acqua che purifica, ma anche i pozzi della Torà , i pozzi dello spirito. Il nostro percorso spirituale ci deve far scendere in Egitto, ci deve far sentire schiavi prima di poter assaporare la continua liberazione con la quale il Signore ci redime dal Faraone che è in noi. 

Ma non si può scendere in Egitto senza parlare di quel pozzo nel quale abbiamo gettato nostro fratello Josef. E' da lì che parte la storia. La storia della figlia di Nechunià - che rischia di morire annegata - e di suo figlio che muore per la mancanza di acqua, ci riportano a quel pozzo senz'acqua nel quale viene gettato Josef e dal quale la storia di Pesach parte.

Se il pozzo di Josef è simbolo del disprezzo verso il prossimo i pozzi di Nechunià sono esattamente l'opposto, pozzi per beneficiare il prossimo.

I nostri Padri scavavano pozzi. Avraham ed Izchak, ma anche Jacov erano i Nechunià della loro generazione. Anche il loro figlio - Josef - cade nel loro stesso pozzo. Spinto dai loro stessi altri figli. E' forse proprio quel merito, quello di cui parlano Rashì e Ben Jeoiadà.

Il complesso discorso di Nechunià è che anche beneficiando il prossimo si deve fare attenzione a non danneggiarlo. E d'altro canto si hanno sì dei meriti per questo, ma non si può per ciò pensare che tutto sia deterministico. Come abbiamo visto per il ad delò yadà di Purim che ci deve introdurre a Pesach, questi pozzi anche ci devono far capire che non abbiamo capito. 

Una delle grandi doti di Nechunià era secondo il Talmud in Shekalim, quella di capire dalla tipologia delle pietre la temperatura dell'acqua. 

Una delle regole di Pesach è che l'acqua con la quale si impastano le mazzot deve riposare una notte - maim she lanu. Si vuole evitare, spiega Rashì che la temperatura più calda dell'acqua in questo periodo dell'anno, incida sul processo di lievitazione rendendo l'impasto chamez. 

A volte anche la migliore delle azioni può provocare dei danni. Anche una piccola variazione di temperatura può trasformare l'acqua da parte integrale della mazzà shmurà,  a parte integrale di chamez. Questo Nechunià lo sapeva bene. Sapeva anche che i suoi pozzi erano una gran cosa ma potevano anche essere pericolosi. 

Il pozzo di Josef è al contempo tentato omicidio e sorgente della redenzione dall'Egitto. Come capirci qualcosa? Solo il Signore può trasformare l'acqua dello stesso pozzo che era sangue per gli egiziani in acqua limpida per gli ebrei. 

Noi possiamo solo ricordarci che tra qualche sera sarà bene che una parte di ognuno di noi torni ad essere come un bambino che non sa ancora fare domande, alla quale noi stessi dobbiamo insegnare che 'questo è per quanto mi fece il Signore quando uscii dall'Egitto.'

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